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Intervista a Jean-Claude Rufin

Autore: Fabio Gambaro
Testata: La Repubblica
Data: 11 novembre 2012

Raccontare il passato per pensare il presente. È con questa convinzione che Jean-Christophe Rufin ha scrittoL'uomo dei sogni (traduzione di Alberto Bracci Testasecca, edizioni e/o, pagg. 407, euro 18,50), un appassionante romanzo pieno di viaggi, amori, intrighi e avventure, che, sullo sfondo della prima metà del XV secolo, racconta la straordinaria vita di Jacques Coeur, un uomo di umili origini diventato banchiere del re di Francia, prima di cadere in disgrazia e morire in esilio su un'isola greca. Attraverso la sua storia, che in patria ha venduto oltre 200.000 copie, il romanziere francese evoca con intelligenza e efficacia il desiderio di cambiamento, la nascita dell'economia moderna e la scoperta di un mondo più vasto. E soprattutto mostra al lettore le contraddizioni di un'epoca di transizione, quando i traffici commerciali e i viaggi in oriente permisero alla Francia di sottrarsi al medioevo.

«Per tre anni sono stato ambasciatore in Senegal. Rientrato in Francia, volevo scrivere un romanzo sul potere, ma senza parlare direttamente della mia esperienza», racconta lo scrittore membro dell'Académie Française, medico di formazione da sempre attivo in ambito umanitario e diplomatico, non- ché autore di una decina di romanzi, tra cui L'abissino, Il persiano, Il profumo di Adamo e Rosso Brasile, che nel 2001 ha vinto il prestigioso premio Goncourt. «Ho allora deciso di sfruttare un personaggio storico, Jacques Coeur, che conobbe molto bene il potere, dato che frequentò il re di Francia Carlo VII e la sua corte. Durante la sua vita romanzesca conobbe il successo e la ricchezza, ma anche la disgrazia e la persecuzione. Fu un ricchissimo mercante e argentiere del re, ma anche un visionario per il quale la scoperta delle altre culture fu un'esperienza determinante».

In che direzione?
«Ha permesso alla Francia di guardare in maniera diversa il Mediterraneo e l'Oriente. Fino all'inizio del XV secolo, anche per via della guerra dei cent'anni, i re di Francia si preoccupavano solo delle relazioni con l'Inghilterra. Avevano una concezione molto feudale del potere, tutta basata sulla conquista del territorio e la guerra tra cavalieri. Grazie ai viaggi e alle relazioni commerciali, Jacques Coeur fece scoprire all'Europa la raffinatezza e l'eleganza dell'Oriente, mostrando alla corte che lo scambio di merci era preferibile alla violenza delle crociate. Grazie al commercio, le relazioni tra l'Europa e l'Oriente musulmano iniziarono a cambiare ».

È possibile leggere l'avventura di Jacques Coeur come il simbolo di una mondializzazione ante litteram?
«Il suo percorso rappresenta il passaggio dal medioevo all'età moderna, un periodo in cui prende corpo un primo processo di globalizzazione attraverso l'economia. Il denaro diventa il nuovo linguaggio universale che sostituisce a poco a poco i codici della cavalleria».

Anche noi oggi viviamo una fase di transizione?
«Probabilmente sì, viviamo in un mondo dove tutto si sovrappone e si confonde: dubbi, paure, speranze e illusioni. Da un certo punto di vista ci ritroviamo a fare i conti con le stesse incognite, le stesse paure e le stesse contraddizioni affrontate dal mio protagonista. L'uomo dei sogni racconta la fase iniziale della lunga storia che ha portato all'economia-mondo che oggi tutti conosciamo».

Non a caso, in Francia, la critica ha sottolineato l'attualità delle problematiche affrontate dal romanzo...
«Il romanzo storico m'interessa solo in quanto mi consente di parlare indirettamente del presente, mostrando quanto possano essere ancora attuali certi personaggi e certe storie. Jacques Coeur credeva all'economia come vettore di benessere e di pace. In un periodo come il nostro, in cui l'economia è spesso vista negativamente a causa dei suoi costi umani e sociali, è bene ricordare che essa può essere anche altro». Jacques Coeur come modello alternativo alle derive del mercato e della finanza? «Il suo è un capitalismo ancora arcaico, in cui tutto è ancora in fase embrionale. Il peggio, con le derive di una finanza prigioniera della speculazione, ma anche il meglio, vale a dire il carattere dinamico dell'economia che favorisce il progresso umano. Jacques era un visionario, non un capitalista rapace. Ha contribuito alla nascita di un nuovo mondo, anche se poi non ne ha potuto approfittare».

Al di là delle analogie con il presente, il suo è uno straordinario romanzo d'avventura e di passione...
«Ciò che conta in un romanzo è sempre la dimensione romanzesca. Quando preparo un nuovo libro, mi documento molto, ma al momento della scrittura cerco di dimenticare tutto il materiale accumulato, concentrandomi solo sulla storia. Non mi piacciono i romanzi didattici che cercano di spiegare il mondo al lettore. Per me, contano solo la felicità della scrittura e il piacere della lettura».