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L'empatia di un'era nel prisma dell'esistenza

Autore: Andrea Colombo
Testata: Il Manifesto
Data: 13 novembre 2013

Lenù se ne va. Lascia Napoli, il rione, la violenza delle strade popolari. Lascia Lia, che è molto più di un'arnica, forse molto più di un amore: una parte di sé, la più inquieta e lacerata, la più ombrosa e la più viva. Non è una partenza, la -sua: è una fuga, come svela in partenza il titolo del terzo volume dell'opera di Elena Ferrante L'amica geniale (Storia di chi fugge di chi resta, Edizioni e/ o, pp. 382, euro 19,50). Lenù fugge dalla miseria di Napoli, dall'ignoranza della sua famiglia e del suo mondo, dalla brutalità dei rapporti di potere che regnano tra i protagonisti della sua infanzia e adolescenza. Fugge dal rapporto centrale della sua intera vita: quello con l'arnica e rivale, il modello, la compagna, la controparte. Fugge daLia. Dall'altra parte del fossato c'è una famiglia intellettuale, borghese e potente. Ci sono un matrimonio, un marito accademico, due figlie, una casa di lusso a Firenze. Ci sono articoli sull'Unità, un libro buttato giù di getto e baciato da gran successo, un altro più sofferto e meditato che non arriverà mai nemmeno tra le mani di un editor. Ci sono il fallimento, la sconfitta e l'aggrapparsi infine alla fune di una passione irruenta e selvaggia, devastante, il cui esito non conosceremo fino all'uscita del prossimo volume di questo immenso libro. La Lenù agiata e fiorentina cerca un'identità completa e femminile. Come tutti quelli che cercano e si cercano sbaglia strada, sbatte contro muri esterni e interni, procede a tentoni. Si perde, si ritrova, finisce per forza a dover fare i conti con quella parte di sé che .sta dall'altra parte dell'universo sociale, quella rimasta nei vicoli di Napoli e che dà il titolo all'intera serie. Nell'Amica geniale e in Storia del cognome cambiato il rapporto tra le due protagoniste, quella che parla in prima persona e quella di cui sin dalla prima riga si parla, era sempre e comunque centro, cuore e motore della narrazione. Lo è anche qui, ma stavolta è con la Lia che si porta dentro, e con tutta la parte di sé consegnata sin dalla prima infanzia a Lia, che Lenù deve misurarsi: guardando in faccia i conflitti, le rivalità, i sensi di inferiorità, la competizione. Tutto quel che fa parte d􀂷i rapporti che solo la povertà del vocabolario obbliga a chiamare amicizia o amore. In questo terzo pannello, negli anni dell'età adulta, Elena Greco, Lenù, è sola. Lia è una figura incombente ma distante, come Napoli e il Rione. Storia di chi fugge e di chi resta è il romanzo di un'assenza e del tentativo impossibile di riempire il vuoto che lascia. È la storia di Lenù senza Lia, ma Lenù senza Lia non esiste. E se il rapporto non pare simmetrico, se Lia, quella che resta e anzi torna a vivere nello stesso quartiere desolato dell'infanzia, sembra invece trovare la sua strada nell'universo ancora albeggiante di certi nuovi strumenti a quasi tutti ignoti ma destinati di lì a poco a rimodellare il mondo, i computer, bisognerà aspettare il prossimo pannello, o forse i prossimi, per crederci davvero. I grandi libri non sono quelli che sommano diversi livelli di letteratura possibile, i prismi che mutano a seconda dell'angolazione dalla quale si sceglie di guardarli. Sono quelli che centrano l'obiettivo con apparente naturalezza, come se fosse la cosa più ovvia e naturale, l'unica possibile, e nei quali non in una sola frase averti la percezione gelida dell'esercizio intellettuale, della costruzione architettonica pianificata a tavolino, a volte (raramente, per la verità)· con maestria, ma quasi sempre senza ispirazione. L'opera che Elena Ferrante (e che ci sarà mai di intrigante nel chiedersi chi sia, come se importante fosse la sua fotografia e non quello che sa dare?) sta edificando tappa dopo tappa, tassello dopo tassello, è la storia di una donna, di un rapporto tra donne che va oltre l'amicizia e oltre l'amore, ma è anche la storia di una città flagellata e quella di un Paese intero, e dei suoi abitanti, dal dopoguerra a oggi, dunque la biografia di una generazione. Dopo il dopoguerra, la ricostruzione e gli anni Cinquanta nel primo volume, dopo gli anni del boom e della grande speranza nel secondo, Lenù e Lila traversano ora il decennio più critico, quello della grande inquietudine, del grande sovvertimento e dei sogni infranti, gli anni Settanta. Su nessuna fase della storia italiana saggisti e romanzieri hanno speso più inchiostro. Sembrerebbe impossibile parlarne e descriverli e raccontarli ancora senza mai inciampare nel già detto, nell'universalmente noto o nell'involontariamente ripetuto. La Lenù che scrive dietro le pseudonimo di Elena Ferrante ci riesce perché, pur partendo da un'adesione dichiarata alla sinistra radicale e da una quasi militanza femminista, sfugge a ogni tentazione di interpretare e giudicare. Si occupa e si preoccupa invece, con successo, di creare una comunicazione diretta ed empatica con un'intera epoca, nella sua grandezza e nella sua miseria, con la sua nobiltà e la meschineria. È la sola autrice che sia riuscita a trasmettere per intero il senso contraddittorio di confusione, sbandamento e liberazione, di vitalità, speranza e disperazione che di quel decennio costituiva l'anima più intima e meno confessata. Non è sempre un libro gradevole, Storia di chi fugge e di chi resta, come non lo erano i due capitoli precedenti. In tutto quello che Elena Ferrante scrive campeggia una violenza profonda, che colpisce duro perché ignora le mediazioni del gioco intellettuale o dell'artificio colto. Va dritta alla bocca dello stomaco. Era violentissima la sua Napoli, lo erano gli abitanti del suo Rione e della sua giovinezza. Lo è anche questo ambiente colto, per bene e di sinistra dove è approdata senza gioia. Lo è tanto più perché qui la violenza della vita, la crudezza dei rapporti di potere, lo stesso contatto con la propria felicità o infelicità è camuffato, felpato, inconfessato, e dunque ancora più perturbante. Persino il Rione, con la nudità delle sue regole brutali, con i suoi usurai, i camorristi, i falliti e i vincenti tra cui nessuno è meglio degli altri, spicca al confronto come una boccata d' ossigeno, il cui volto è ancora e sempre Ula. In un universo letterario cerebrale e spesso supponente, in cui abbondano gli autori avvezzi ad allestire giochi sofisticati e non ne trovi uno capace di portare sulla pagina l'immediatezza degli odori, dei sapori, dei sentimenti e delle passioni contraddittorie, Elena Ferrante è un caso unico: la sola che riesca a davvero farlo. È giusto che sia lei a scrivere il grande romanzo delIa sua generazione, del suo Paese e dei suoi tempi.