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Cambiare l’acqua ai fiori, recensione collettiva a cura di Casa di Scrittura

Testata: ExLibris20
Data: 1 marzo 2021
URL: https://www.exlibris20.it/cambiare-lacqua-ai-fiori-di-valerie-perrin/

(Hanno letto e scritto del libro: Angela Girolamo, Emma Dovano, Annamaria Monterisi, Antonella De Biasi, Margherita Lomangino, Verdiana Mastrofilippo, Sissi Patruno, Maria Pilolli, Annarita Cappabianca, Chiara Galignano, Rossella Palloni, Mayra D'Aprile, Federica Campi, Rosa Di Battista, Marica Ciccarelli)

Casa di Scrittura è il luogo, reale e virtuale, dove nascono laboratori e storie inedite tutte sotto la cura di Alessandra Minervini. Da noi se leggiamo gli stessi libri o romanzi affini è perché sono consigliati per lavorare al proprio testo oppure per scavare dentro “Una storia tutta per sé”, il nostro percorso autobiografico. Per la prima volta il gruppo ha riunito alcuni suoi componenti per leggere insieme quello che in poco tempo è diventato il romanzo dell’anno, pur essendo uscito nel 2019. Si tratta di Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin, e/o. Un caso letterario ed editoriale che in poco tempo sta conquistando tutti. Allora, non ci restava che andare a capire cosa c’è dietro e dentro questa storia. Il gruppo guidato dalla sua coach ha visto da vicino il fenomeno, scavando dentro le tante storie che racconta e soffermandosi in particolare sull’analisi di tre aspetti: la protagonista, il momento del romanzo più emozionante e cosa trasmette il finale. Per evitare inutili spoiler, la recensione che abbiamo scritto collettivamente si concentra soprattutto su Violette.

Buona lettura!

“La morte comincia quando nessuno può più sognare di te”.

Si chiama flavour of the month e significa “il favore del mese”. È un’espressione molto usata in America per definire fenomeni, soprattutto di natura culturale, che sono graziati dal favore del momento, cioè da una rapida e improvvisa popolarità. L’autrice di Cambiare l’acqua ai fiori ne è investita, ha fatto letteralmente il pieno in libreria. È il suo secondo romanzo: se non ci fosse stata la fiducia per il primo non ci sarebbe stato l’entusiasmo per il secondo, racconta nei ringraziamenti finali. Il libro è di quelli lunghi, un bel tomo di quasi 500 pagine che a onor del vero, eccetto i primissimi capitoli in cui ci si immerge subito nel clima, le successive 200 pagine stentano a decollare e spesso nel gruppo ci siamo chieste: ci arrendiamo? Per fortuna no, abbiamo resistito e portato a termine la lettura. Fatelo anche voi.

Il libro parte in sordina, dunque, ma ad un certo punto s’impenna e la trama s’infittisce. Un romanzo che sembra spaccato a metà, scritto da due persone diverse o meglio ancora che sia stato iniziato e abbandonato, un’idea non ancora completa dell’insieme, poi portato a termine in età più matura dal punto di vista letterale. La prima parte stenta a partire, pur essendoci una storia d’amore, non travolge il lettore; ad un certo punto la storia prende una svolta e ti tiene col fiato sospeso fino alla fine.

La protagonista è Violette Trenet, nata sola e non amata da subito: “Ho cominciato malissimo”, dice accennando a famiglie affidatarie e a case-famiglia che per quanto volenterose, la deludono. Con lavori e lavoretti cerca di ricostruire per sé una vita familiare anche se si intuisce che camminerà in solitaria più o meno sempre. È fin troppo facile immedesimarsi in un personaggio trascurato, satellite del narcisista di turno, il marito che incontra a soli 17 anni. Difficile è prendersene cura. Violette può sembrare una Renée de L’eleganza del riccio, ma la cura per sé, attraverso la cura che ha per gli altri, rivela fiducia e apertura alla vita più dirompenti: il vestito rosso nascosto è la verità di una menzogna consapevole. Ha colpito il suo modo di gestire il guardaroba e il suo abbigliamento: indossa l’estate (abiti sgargianti) sotto l’inverno (abiti scuri). Quel suo essere attaccata alla vita fin dalla nascita, quel suo essere inverno camuffata da estate è una dualità che dà la sensazione di non sapere dove inizia una e finisce l’altra, quale sia la vera Violette. In fondo, non ci interessa. I vestiti colorati sotto quelli neri, l’odore delle rose nelle stanze, le mani di terreno mentre curava i fiori. Tutto il mondo di Violette appare nel romanzo molto tattile e visivo e, per questo, si regge bene anche la prima parte quando sostanzialmente, non accade nulla di che. Violette ci insegna il giardinaggio di se stessi, una cosa che richiede amore, generosità e impegno. Violette fa la guardiana del cimitero di Brancion, in Borgogna. Attraverso di lei conosciamo la vita e la morte di personaggi che entrano ed escono dalla sua e dalla nostra esistenza. C’è chi nel gruppo l’ha definita un fante: una donna che transita tra due mondi, sempre in equilibrio tra le vicende della vita vera e quella della vita sospesa, che si respira nel cimitero di cui è guardiana.Questa storia mette continuamente in contatto con le storie che ci raccontiamo per sopravvivere e quelle che ci tengono ancorate come una zavorra al mondo reale. Violette in realtà è una passeggera e un fante che transita da un seme all’altro, come nelle carte. E noi siamo passeggeri con lei. Ciò che infastidisce è ciò che la rende profonda, il suo galleggiare sull’esistenza. Violette asseconda la vita, accarezza la morte. La sua è una rivoluzione silenziosa, è la rivoluzione della gentilezza, della cura delle piccole cose, dell’insignificante. “Ero piena di silenzi che urlavano dentro di me, mi svegliavano la notte, silenzi che mi hanno fatto ingrassare, dimagrire, invecchiare, piangere, dormire tutto il giorno, bere come una spugna, sbattere la testa contro porte e muri, ma sono sopravvissuta”. La scelta fatta dall’autrice di dare alla protagonista uno sguardo consapevole, maturo, ha fatto amare subito Violette. Ha colpito la capacità introspettiva di questo personaggio. Ciò che ha reso sin da subito Violette profonda è la sua presenza silenziosa, meditabonda. Violette è lo spazio che abita: una stanza piena di lettere e squarci nascosti, vestiti celati. Una ragazza che ha perso sé stessa, trascinata da un affetto all’altro; una donna che ha accolto il nero e non dimentica il colore. Accanto a lei, il marito, Philippe Touissaints: “un uomo che non sposerei” ma che in letteratura è perfetto: il male fatto a maschio. Eppure la sua è stata la crescita più toccante, il suo machismo da koala ha mostrato tanto altro per fortuna, pur restando non proprio un gentiluomo con Violette. Abbiamo amato scoprire Philippe Toussaint e la sua vita, capire chi fosse e cosa facesse. Ci è piaciuto come la scrittrice usa il punto di vista di Violette per mostrarcelo. Violette non sapeva cosa Philippe facesse e per questo neanche noi, quindi, pur restando spiazzata è una trovata funzionale. Con Violette non si può che essere solidali, sempre, sia quando non reagisce, sia quando lo fa. Leggendo abbiamo notato la presenza di diverse situazioni comiche, come la vedova che strappa i fiori portati dall’amante o alcune epigrafi funerarie, tipo Riposa in pace, cara Jeanne. […] Qua sei un ricordo, là il futuro. Oppure il clima che si crea tra le mura del campo funerario tra Violette e i necrofori Nono, Gaston, Elvis, con gli addetti alle Pompe funebri, con Cédric Duras, giovane prete che confida con candore del suo desiderio di paternità, tranquillo, goloso (l’immagine familiare, il prete che risponde con la bocca piena di crema). Ci ha affascinato la cura che tutti gli addetti hanno per le persone che frequentano un ambiente normalmente malinconico.

La narrazione si svolge con più voci su più livelli temporali. Una rilevanza notevole a livello strutturale è data dalla sospensione del tempo. La scelta della narrazione al presente, in un tempo sospeso che fa a zigzag nei ricordi, dilata la dimensione della storia, anziché renderla frenetica e mai disordinata. Ed evita, moltissimo, la noia. Soprattutto resta la mancanza di Violette: quando si chiude il libro, tmanca quell’amica con cui hai stabilito l’appuntamento fisso del giorno, il momento che dicevi: “Chissà cosa mi racconterà oggi, la mia amica Violette“. E quando un personaggio manca così, checché se ne dica, ci ha raccontato una storia che vale la pena conoscere. Cambiare l’acqua ai fiori, è prima di tutto imperativo, annotazione per se stessa, perché Violette è il primo (ed unico) fiore di cui deve lei stessa imparare a prendersi cura, sia custodendo, da un passaggio a livello ai racconti dei suoi vicini “discreti”, che dando nuova acqua e vita.

Sul piano strutturale, abbiamo tutti ammirato i capitoli brevi e lo scheletro della narrazione: i piani temporali, le storie, i personaggi e le voci narranti che crescono, si intrecciano e fioriscono come le piante dell’orto di Violette. La Francia, la Borgogna, Marsiglia, il cimitero e l’orto riportano alla memoria momenti felici. Le storie che si accavallano, si sovrappongono e s’intrecciano facendo un grosso nodo sulla maternità. Maternità che senza una paternità solida, presente, forte in grado di recidere il cordone ombelicale tra madri e figli può fare danni molto ingenti. È un romanzo scritto in tutte le dimensioni sensoriali immaginabili, modello cinema immersivo. Musica, colori, sapori, profumi, lividi sulle braccia, fuoco e fiamme. Se nelle storie del cimitero, anche quelle un po’ fine a sé stesse o incentrate solo sui necrofori e gli altri personaggi minori, il romanzo comunque ha retto, decisamente si sente un crollo nella trama di Irene e Gabriel. Non c’è stata empatia: Irene e Gabriel non hanno riscosso l’amore di nessun lettore. Entrare in quelle vite in modo così esteso, vite di morti trattati come fossero vivi, entrava in conflitto con i vivi di cui ci interessava, Violette la figlia il marito e i genitori di lui.

Numerose anche le liste, gli elenchi, le citazioni letterarie, la musica, le canzoni, i film e i libri menzionati all’interno del romanzo, potrebbe costituire un vero e proprio spin off culturale della storia. Tra i più apprezzati: una poesia di Jacques Prévert a pag. 36 (andate a leggerla subito!).

Per quanto riguarda il finale, c’è chi lo ha apprezzato di più, chi con qualche tentennamento. Non possiamo assolutamente rivelarlo. Per questo vi lasciamo con una serie di commenti (senza spoiler) che riguardano il momento in cui si è finito di leggere.

“Sono uscita fuori dalla lettura di questo romanzo stordita, come dalla sala del cinema, dopo aver visto il mio primo film in 3D. Barcollavo, perché mi girava la testa. Ma ho ancora il libro tra le mani… ne sarò uscita?”

“Mi è piaciuto? Sì, assolutamente. In quella maniera di alcuni libri devastanti che ti vanno a rintuzzare alcune cose che, dopotutto, non hai seppellito così bene… se vogliamo restare in tema.”

“Questo libro ha continuato a ronzarmi in testa per ore, giorni e ronza un po’ ancora adesso, mentre me ne vado in giro a consigliarlo a mamma ed amiche… al punto che, ascoltando Levante, mi sono sentita la voce di Violette cantarmi in testa ascoltando Magmamemoria”.