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Ecco il testo inedito che Massimo Carlotto ha letto al Festival delle Letterature a Massenzio

Il mare chiuso di Massimo Carlotto
(testo inedito)
Scarica il testo in allegato

Chi: un prete cattolico e un ammiraglio ottomano.
Dove: sala del Diwan, cittadella di Algeri.
Quando: dialogo storicamente impossibile ma assolutamente probabile, in data incerta. Presumibilmente tra il 1568 e il 1645.

 
Vincenzo de’ Paoli: Pascià Ulug’ Alì, sono Vincenzo de’ Paoli, della congregazione dei Lazzaristi, vi ringrazio di avermi dato udienza.
Ulug’ Alì: Il famoso fra' Vincenzo… Ero curioso di conoscervi.
V.d.P.
Mi confondete Pascià, sono solo un umile servo di Dio.
U.A. 
Non siate così modesto. Tra i cristiani di Algeri si mormora che diventerete santo.
V.d.P.
Gli schiavi si nutrono di chiacchiere per allontanare la disperazione. Santi si diventa al cospetto del Signore e io, per suo volere, nonostante la mia veneranda età, sono ancora su questa terra a predicare la sua  parola…
U.A. 
Accomodatevi, vi prego…
V.d.P.
Grazie, Eccellenza, grazie… Come sapete ho chiesto di incontravi per trattare il riscatto del nobile Giovan Luigi Moncada, principe di Paternò, catturato dalla vostra flotta al largo di Napoli. I trecentomila scudi     richiesti sono una cifra che rende la situazione particolarmente complicata…
U.A. 
Capisco… ma non c’è fretta di parlare d’affari. Avere un ospite così di riguardo non capita spesso.
V.d.P.
Eccellenza, non vorrei sembrare irrispettoso ma, prima di ripartire da Algeri, vorrei avere il tempo di visitare i confratelli le cui famiglie mi hanno chiesto notizie.
U.A. 
Forse i vostri preti si lamentano di non essere ben trattati? A ebrei e cristiani ho permesso la libertà di culto e la costruzione di chiese e sinagoghe.
V.d.P.
La vostra generosità è nota, Eccellenza. E i cristiani ve ne sono riconoscenti. Ma le spese di noleggio della nave sono ingenti per una povera congregazione come la nostra e ogni giorno che passa sono decine di pezzi d’oro che entrano nella borsa dell’armatore…
U.A. 
Smettetela di preoccuparvi. Vuol dire che vi rifarete sulla nobiltà palermitana che rappresentate in questo momento. E poi vi chiedo solo di conversare un po’. Como vi ho già detto, ero curioso di conoscervi.
V.d.P.
Dubito che la vita di un povero frate possa generare curiosità in un uomo del vostro valore e della vostra importanza.
U.A. 
Continuate a fare il modesto, fra Vincenzo. Dicono che siete capace di far parlare la testa di un morto… vorrei assistere anch’io a questo sortilegio.
V.d.P.
Siete stato male informato, non sono avvezzo ai sortilegi.
U.A. 
Il conte Savary de Brèves, ambasciatore di Francia a Costantinopoli, mi ha confidato che vi siete esibito anche davanti al papa e ai cardinali.
V.d.P.
Si è trattato di un gioco da saltimbanco, una cosa senza importanza…
U.A. 
E allora perché il papa ha voluto vederlo? Non ha di meglio di cui occuparsi?
V.d.P.
È stata una parentesi scherzosa in occasione di un incontro informale con sua santità.
U.A. 
Bene, allora allietate anche me con questo gioco.
V.d.P.
Non credo di ricordarlo bene. Sono trascorsi molti anni e la mia memoria ormai…
U.A. 
Certe cose non si scordano… Soprattutto se sono frutto di una lunga pratica…
V.d.P.
Che intendete?
U.A. 
Mi riferisco ai segreti dell’alchimia, fra Vincenzo.
V.d.P.
È condannata dalla chiesa…
U.A. … al rogo. L’inquisizione non perdona ma potete stare tranquillo, qui il Sant’Uffizio non ha orecchie né braccia. So per certo che durante i due anni di schiavitù che avete patito a Tunisi siete stato al servizio di un alchimista.
V.d.P.
Ero schiavo. Non avevo scelta.
U.A. Eravate già stato ordinato sacerdote. Potevate sempre immolarvi al martirio…
V.d.P.
Dio ha scelto diversamente.
U.A. Certo, certo… ma l’alchimista è morto mentre eravate ancora il suo assistente. Voi siete l’unico a conoscere i suoi segreti.
V.d.P.
Badavo al fuoco dei fornelli. Il resto non mi interessava.
U.A. Però ve l’ha insegnato lui a far parlare la testa di morto…
V.d.P.
Era solo un fantoccio con un congegno, non c’entra nulla con l’alchimia, ve l’ho già spiegato.
U.A. Di me potete fidarvi.
V.d.P.
Cosa volete?
U.A. I vostri segreti. In cambio vi faccio risparmiare i trecentomila ducati del riscatto del principe di Paternò.
V.d.P.
Non ne custodisco. Dell’alchimia conosco solo il puzzo degli alambicchi.
U.A. E allora perché quando siete stato liberato non avete raccontato la verità alla vostra chiesa?
V.d.P.
Non ho mentito.
U.A. Avete ragione, diciamo che avete avuto dei vuoti di memoria. Soprattutto non avete spiegato come mai siete stato fatto schiavo quando tra il Bey di Tunisi e il regno di Francia c’era un accordo di libertà immediata per i suoi sudditi…
V.d.P.
Cosa state insinuando?
U.A. Che forse schiavo non lo siete mai stato e che a Tunisi vi siete recato liberamente…
V.d.P.
Stregato dai misteri dell’alchimia?
U.A. Non lo eravate forse?
V.d.P.
Eccellenza, ora vi racconterò una storia. Riguarda un giovane francescano. Spero che la troverete interessante e… veritiera. Il giovane si chiamava Vincent e si era imbarcato su una nave salpata dal porto di Tolone e diretta in Spagna. Al secondo giorno di navigazione venne assalita da tre brigantini di corsari barbareschi. Il timoniere fu fatto a pezzi da una palla di cannone e molti altri marinai vennero feriti. Lo stesso Vincent fu colpito da una freccia, una ferita che gli servirà ad annunciare l’arrivo del cattivo tempo per tutta la vita. La nave catturata al primo arrembaggio fu trainata nel porto di Tunisi, dove equipaggio e passeggeri vennero venduti come schiavi. Essendo francesi, come avete ricordato poc’anzi, non potevano essere tratti in schiavitù, ma i pirati dichiararono che la nave batteva bandiera spagnola.
Il giovane Vincent venne comprato da un pescatore ma rivenduto poco dopo perché soffriva il mal di mare. Il nuovo padrone era un alchimista. Un vecchio dai modi affabili e umani. Vincent lo aiutava nei pazienti esperimenti e nelle lunghe elaborazioni, provando più piacere che pena e imparando i segreti di quell’arte.
U.A. Esistono questi segreti, allora…
V.d.P.
Non interrompetemi, vi prego… un giorno d’agosto l’alchimista morì e il giovane Vincent fu ceduto dai parenti a un nuovo padrone. Costui era un nizzardo che aveva abiurato la vera fede e si era fatto musulmano. Con i proventi della guerra di corsa aveva comprato della terra ed era tornato contadino. Il rinnegato mise Vincent a lavorare nei campi. Un lavoro duro, scandito dalla sete e dal cuoio intrecciato della frusta. Una delle sue tre mogli era una greca scismatica, costretta a convertirsi e a sposarlo per affrancarsi. Quando venne a sapere che Vincent era un religioso cristiano lo cercò nei campi e gli chiese di cantare le lodi di Dio. Lui intonò il salmo Super flumina Babylonis e il Salve Regina. Da quel giorno si incontrarono spesso, la donna ritrovò la fede cristiana e anche il coraggio per rimproverare il marito di averla abbandonata. Il rinnegato rimase turbato e confessò a Vincent di voler tornare in terra di Francia. Nei dieci mesi seguenti il giovane francescano e il rinnegato discussero molto di religione e di .. piani di fuga. Alla fine di un giugno particolarmente piovoso sbarcarono ad Aiguesmortes.
Il rinnegato venne reintegrato nella cristianità al termine di una lunga cerimonia nella chiesa di san Pietro ad Avignone, mentre Vincent venne discretamente condotto a Roma e alloggiato in un convento per evitare le lunghe e farraginose procedure del Sant’Uffizio. Lì si liberò di tutti i suoi segreti d’alchimia, confidandoli a un monsignore che li raccoglieva per l’archivio dell’ordine. In cambio Vincent fu perdonato e reintegrato nella chiesa con l’obbligo di svelare il meno possibile del suo periodo di schiavitù.
U.A. E così non tutta la chiesa condanna l’alchimia…
V.d.P.
Diciamo che una parte la ritiene degna di conoscenza, senza trasgredire l’ordine di non esercitarla, ovviamente. L’Islam è più progredito nelle scienze e alcuni sacerdoti trovano giusto esserne informati. Anche le arti divinatorie sono seguite con attenzione.
U.A. È un gran peccato che Vincent non abbia più segreti da confidare…
V.d.P.
Non lo avrebbe fatto comunque.
U.A. E perché?
V.d.P.
Perché siamo nemici, Eccellenza. Cristiani e islamici incrociano le spade da secoli ormai, si contendono questo mare come cani un tozzo di pane.
U.A. Voi siete francese e non siamo in guerra con la Francia, lo sapete bene. E siamo in pace con Austria e Olanda…
V.d.P.
Tutti i giorni arrivano qui navi cristiane che scaricano legname e ferri per le vostre navi e ripartono cariche dei bottini che avete strappato ad altri cristiani. Battono bandiera di paesi con i quali avete firmato un trattato che dura giusto il tempo del buon commercio. Ma le tregue non cancellano le ragioni che ci dividono e che ci rendono nemici.
U.A. Ah, siete uno di quelli che pensano che non vi possa essere convivenza pacifica tra cristiani e musulmani.
V.d.P.
Perché, voi lo pensate?
U.A. Noi siamo tolleranti, non imponiamo a nessuno la nostra religione.
V.d.P.
Ma la vostra civiltà sì. Algeri, Tunisi e Tripoli rendono insicuri i commerci e le coste del Mediterraneo. L’impero ottomano avanza nel cuore dell’Europa e i tartari assediano la Russia. Fino a quando continuerete a espandervi non vi sarà pace.
U.A. Strano discorso per un uomo di chiesa, non vedo Dio nelle vostre parole.
V.d.P.
C’è, ve lo assicuro. Nella speranza che trionfi la sua parola e vi sia pace nei cuori.
U.A. Allora vivete di sogni, fra Vincenzo. La pace arriva dopo le vittorie e le conquiste.
V.d.P.
Dio sta mettendo alla prova il suo popolo.
U.A. Quale Dio, frate? Il vostro o il mio?
V.d.P.
L’unico. Misericordioso.
U.A. Allah è misericordioso. Non v’è altro Dio che Dio e Maometto è il profeta di Dio.
V.d.P.
Potrei rispondervi con parole altrettanto importanti. Ma capite anche voi che non ha senso continuare. Vi prego di abbandonare simili discorsi e di tornare al motivo della mia venuta.
U.A. Il principe di Paternò può aspettare. Voi mi intrigate, mi piace discutere con voi, fra Vincenzo. È la prima volta che un prete cristiano mi tiene testa.
V.d.P.
Nemmeno i vostri superiori al convento, padre Luca?
U.A. Erano molti anni che non sentivo nominare quel nome. Vedo che siete ben informato anche se non è un mistero che un tempo ero cristiano.
V.d.P.
Non eravate solo un comune credente, eravate un uomo di Dio che aveva ricevuto i sacramenti.
U.A. Caro fra Vincenzo, credo che ora tocchi a me raccontarvi la storia di un giovane sacerdote, si chiamava Dionigi Galeni.
V.d.P.
L’ascolterò con piacere.
U.A. Non siate irriverente, fra Vincenzo.
V.d.P.
Perdonatemi Pascià, vi prego di accettare le mie scuse ma i nostri riti sono meno cruenti.
U.A. E comunque vi sbagliate. Se Dionigi fosse rimasto cristiano avrebbe avuto un destino da schiavo. Certo avrebbe vissuto meglio di un villano calabrese ma diventando musulmano ha potuto riscattarsi e diventare un uomo potente e rispettato.
V.d.P.
Da quanto sapete, Dionigi ha mai ripensato al suo passato di monaco? Ha mai sentito il richiamo della fede cristiana? In fondo aveva ricevuto gli ordini, in qualche modo aveva un rapporto privilegiato con il Signore.
U.A. No. Ne sono certo. Sapete fra Vincenzo… un uomo può vivere diverse vite.
V.d.P.
Non vi capisco, Pascià.
U.A. Voglio dire che quando le realtà materiali della vita cambiano dal giorno alla notte o viceversa, a seconda della fortuna, tutto quello che un uomo ha vissuto diventa un passato nebuloso, incerto, a cui è difficile ripensare.
V.d.P.
Credo di aver capito anche se non lo ritengo possibile. Se non sono stato male informato e se non sbaglio persona, pare che questo Dionigi, una volta diventato potente e rispettato tanto da regnare su Algeri, abbia ordinato a cinquecento schiavi cristiani di svolgere una processione in onore di San Rocco per proteggere la Calabria dalla pestilenza e che raccomandi ai sacerdoti di pregare per lui.
U.A. Forse non vede differenza tra Cristo e Allah o forse non gliene importa nulla.
V.d.P.
Mi addolorano entrambe le risposte anche se credo che nel cuore di Dionigi le cose non siano così semplici. Lo sapete che a Venezia c’è una canzone dedicata a lui?
U.A. È nota anche qui tra gli schiavi. Cantano che deve andare a Roma a inginocchiarsi davanti al papa e tornare cristiano.
V.d.P.
Sembra che abbia anche desiderio di tornare a vivere nella sua terra. Si racconta che la sua galera abbia gettato l’ancora davanti a Le Castella e che lui abbia scrutato a lungo il paese con il cannocchiale.
U.A. Forse il desiderio di riabbracciare la madre gli bruciava dentro come la pece infuocata delle battaglie. A volte anche gli uomini più astuti commettono imprudenze.
V.d.P.
Chissà cosa gli avrebbe detto l’anziana madre.
U.A. Chissà… È gente semplice, avrebbe avuto difficoltà a capire che sotto gli abiti del nemico c’era solo un figlio.
V.d.P.
Sono curioso di sapere cosa pensa della morte.
U.A. In che senso?
V.d.P.
La morte conduce al cospetto di Dio... mi chiedo se dubita mai su quale si troverà di fronte.
U.A. La morte è un mistero.
V.d.P.
Non per noi. Tutta la vita trascorre in attesa di quel momento in cui tutte le nostre azioni verranno giudicate. Non è facile essere un buon cristiano e meritarsi il regno dei cieli.
U.A. La via è ardua anche per un musulmano.
V.d.P.
E Dionigi è diventato un buon musulmano?
U.A. Lui ne è convinto.
V.d.P.
Mi permettete una confidenza, Eccellenza?
U.A. Non indugiate.
V.d.P.
Sono convinto che uno dei motivi che spinge i sacerdoti a rinnegare la fede sia la loro debolezza nei confronti del piacere fisico. Voi musulmani siete molto… portati al godimento della carne.
U.A. Non sia ipocrita, fra Vincenzo. So bene cosa pensa dei nostri costumi.
V.d.P.
Un giorno forse il Signore ci permetterà di convivere ma certe differenze sono insormontabili.
U.A. È sufficiente tollerarsi.
V.d.P.
Non del tutto, Eccellenza. Noi sacerdoti abbiamo il compito di portare la parola di Dio tra i peccatori affinché si ravvedano e voi musulmani legittimate la poligamia e la sodomia. Non potremmo rimanere a guardare.
U.A. Davvero non riuscite a sopportare l’idea che qualcuno sia diverso da voi?
V.d.P.
Non quando vive nel peccato e nella dissolutezza.
U.A. Ora mi state offendendo!
V.d.P.
Perdonate questo vecchio prete. La foga mi ha fatto scordare di essere vostro ospite.
U.A. Siete scusato… Ora veniamo al motivo della vostra visita.
V.d.P.
Ma non avete ancora terminato di raccontare la storia di Dionigi.
U.A. A me sembrava di sì. E poi non eravate voi ad avere urgenza nel trattare il caso del principe di Paternò?
V.d.P.
Sì, ma la curiosità ora prevale sui doveri e voi avete tagliato corto sulla parte più interessante. Mi piacerebbe sapere come ha fatto Dionigi a diventare così potente.
U.A. Eppure avete molti esempi di rinnegati, come li chiamate, che si sono distinti negli stati barbareschi, raggiungendo posizioni di riguardo.
V.d.P.
Certo, certo. Recentemente sono stato a Tunisi e a parte il Bey, il resto della corte è formato da… ex cristiani.
U.A. Li chiami pure rinnegati. Io non me ne sono mai vergognato.
V.d.P.
Nemmeno io del fatto che ci chiamiate “papissi”.
U.A. Significa solo seguaci del papa…
V.d.P.
Ma è sempre pronunciato con disprezzo…Comunque avete ragione, sono molti i rinnegati che hanno avuto maggior fortuna tra i barbareschi che non se fossero rimasti cristiani. E me ne sono sempre chiesto la ragione.
U.A. Semplice, qui non ci sono nobili e ognuno può essere fabbro del proprio destino.
V.d.P.
E Dionigi lo è stato…
U.A. E va bene… In fondo sono stato io a chiedervi di conversare e mi sembra giusto soddisfare la vostra curiosità. La figlia di Giafer, l’ex padrone di Dionigi, aveva ricevuto una ricca dote. Così ricca che i due sposi poterono costruirsi un palazzo e armare due navi corsare.
V.d.P. Perché Dionigi si dedicò alla corsa contro i cristiani? Poteva dedicarsi al commercio. Algeri è piena di rinnegati che hanno aperto delle botteghe.
U.A. E cosa crede che vendano? Tutta Algeri vive sui bottini delle navi cristiane. Dionigi scelse il mare e la battaglia perché era più redditizio. E fu fortunato. Già alla prima impresa le sue due fuste riuscirono a catturare una galera catalana al largo della Sardegna. La comandava il nobile Giacomo Losada e la sua famiglia pagò un forte riscatto, che Dionigi usò per armare altre due navi.
V.d.P. Fu meno fortunato quando tentò di catturare il Duca di Savoia, Emanuele Filiberto…
U.A. Siete bene informato per essere un prete dedito al bene altrui… ma avete ragione. Si trattò di una beffa e l’orgoglio di Dionigi ne soffrì molto. Le sue spie gli avevano riferito che il duca si sarebbe trovato nella pineta di Villafranca per una battuta di caccia, accompagnato solo da alcuni nobili e pochi uomini della sua guardia personale. Catturare Emanuele Filiberto di Savoia gli avrebbe portato fama e ricchezza inestimabili, così Dionigi organizzò un colpo di mano ma riuscì solo a far prigionieri gli altri nobili, il duca riuscì a fuggire con un pizzico di fortuna e molta audacia. Nel corso delle trattative per il riscatto dei suoi amici nobili a Dionigi venne l’idea di imporre una strana condizione: di conoscere e riverire personalmente la duchessa Margherita, moglie di Emanuele Filiberto e sorella del re di Francia.
V.d.P. Davvero una richiesta insolita. Forse Dionigi aveva udito voci sulla sua incredibile bellezza…
U.A. Non era solo per la bellezza. Dionigi aveva il desiderio di incontrare una nobildonna cristiana e di intrattenersi con lei nell’osservanza dell’etichetta di corte. Un ghiribizzo non degno della sua fama.
V.d.P. Non siate così severo, Eccellenza.
U.A. Ho tutti i motivi per esserlo. I Savoia lo ingannarono. D’altronde mai avrebbero tollerato di accondiscendere ai capricci di un “pirata”. Infatti all’appuntamento si presentò la prima dama d’onore della duchessa, la contessa Maria de Gondi, e Dionigi si intrattenne con lei oltre un’ora a conversare amabilmente, usando sempre il titolo di duchessa, mai sfiorato dal dubbio che non si trattasse di Margherita. I Savoia si devono essere divertiti non poco alle sue spalle.
V.d.P. E Dionigi ha mai tentato di vendicarsi?
U.A. No. Ha compreso la gravità del suo errore. Tutto quello che era accaduto era stata colpa sua e poi i riscatti sono solo affari. Non c’è posto per vezzi e capricci.
V.d.P. Eppure la beffa non scalfì la sua fama tra i barbareschi, poco dopo gli chiesero di assumere la reggenza di Tripoli...
U.A. Accadde dopo la morte di Dragut Pascià, colpito da una palla di moschetto durante l’assedio di Malta. Ma Tripoli è la più debole delle capitali barbaresche. Più facile da conquistare e meno redditizia per i commerci. Così Dionigi preferì non accettare nella speranza di avere Algeri, la più bella, la più forte e la più ricca. E così accadde…
V.d.P. Tra i diplomatici si mormora che l’imperatore Carlo V abbia inviato un emissario con il compito di fare una certa proposta a Dionigi…
U.A. Carlo V non impara mai. La sua arroganza gli impedisce di ragionare da imperatore. E i suoi consiglieri non sono da meno… Quando si è reso conto che Algeri è inespugnabile ha avuto l’ardire di ordinare a un cugino di Dionigi, tale Giovanbattista Ganguzza, di presentarsi ad Algeri, e proporre la resa della città in cambio di un marchesato in Calabria. Il genere di offerta che si pensa debba tentare un villano rifatto.
V.d.P. Si mormora che il cugino sia deceduto in circostanze misteriose…
U.A. Era molesto e assillante.
V.d.P. Come il francescano Arnaldo da Ponto?
U.A. Quel frate era davvero esagerato. Si presentava a corte intimando al Dey di riconvertirsi, addirittura insultandolo. Condannarlo a morte era l’unico mezzo per liberarsene. Anche la tolleranza ha un limite, fra Vincenzo.
V.d.P. Era solo un povero francescano ispirato dalla parola del Signore.
U.A. Era un invasato.
V.d.P. Dio non rende pazzi i suoi discepoli.
U.A. State mettendo in dubbio la mia parola, forse?
V.d.P. Non mi permetterei mai, Eccellenza. Sto solo dicendo che Dionigi non ha valutato a fondo la situazione.
U.A. Basta! Mi sono stancato di questo gioco di Dionigi. Le assicuro che affidarlo al boia è stato un sollievo. E la stessa sorte è riservata a chiunque venga la balzana idea di consigliarmi il pentimento.
V.d.P. Tutti abbiamo qualcosa di cui pentirci.
U.A. Non siate banale, fra Vincenzo. Avete capito cosa intendo. Ho già fatto costruire la mia tomba. I versetti scolpiti sulle lastre di marmo sono del Corano.
V.d.P. Perdonatemi ma non significa molto. Dio se ne infischia del lavoro di uno scalpellino. Fino all’ultimo soffio di vita egli può decidere di illuminare la nostra anima.
U.A. Comincio ad annoiarmi di queste prediche.
V.d.P. Prima di partire ho incontrato l’imperatore…
U.A. Vi avrà ordinato di tentare di convincermi a consegnare Algeri.
V.d.P. Sì. Ma ho risposto che non l’avrei fatto. E Carlo V si è adirato, ha perfino stretto i cordoni della borsa. Quest’anno la mia congregazione non beneficerà della consueta generosità imperiale.
U.A. E posso sapere perché vi siete opposto al volere dell’imperatore?
V.d.P. Pascià, voi eravate un monaco domenicano. Ne sapete di cristianesimo quanto il sottoscritto. Non saranno certo le parole di un povero frate a farvi ritrovare la vera fede. Solo il Signore può parlare alla vostra anima. Oppure…
U.A. Oppure?
V.d.P. Come ho tenuto a precisare all’imperatore, riconciliarvi con il mondo cristiano può venirvi comodo, ma in quel caso non serve un sacerdote bensì un’offerta degna della vostra potenza.
U.A. Se è per questo sono molti i rinnegati che scelgono di “riconciliarsi”, come dite voi, anche senza grandi offerte. Se ne ripartono a ogni pestilenza o minaccia di un nuovo assedio. Sbarcano nel primo porto cristiano gridando di aver ritrovato la fede e perfino l’inquisizione fa finta di crederci.
V.d.P. Pensavo a un altro tipo di esempio: Simone Danser.
U.A. Quell’olandese pensa solo al denaro. Ha offerto i suoi servigi al sultano e all’imperatore tante di quelle volte che nessuno può immaginare se morirà cristiano o musulmano.
V.d.P. Non è certo da additare come esempio di coerenza e devozione ma mi riferivo al tipo di “compenso” che ha avuto per il suo ritorno nella cristianità: una flotta corsara… non certo la promessa di un pezzo di arida terra in Calabria.
U.A. Fatemi capire, frate. Carlo V mi offrirebbe una flotta?
V.d.P. Dieci volte più potente di quella affidata a Danser. Navi e soldati in grado di farvi controllare il Mediterraneo e conquistare Tunisi e Tripoli.
U.A. Noto con piacere che l’imperatore mi tiene in grande considerazione.
V.d.P. Credo che in cuor suo vi ammiri. Alla corte è opinione comune che voi siate il più grande ammiraglio del momento. La vostra flotta è l’unica che non ha subìto sconfitte nella battaglia di Lepanto e avete ricostruito le navi del sultano Selim in poco tempo.
U.A. Nonostante la vostra apparente ritrosia, state cercando di blandirmi con le vostre chiacchiere.
V.d.P. Vi sto solo riferendo quanto hanno udito le mie orecchie.
U.A. E secondo voi dovrei prenderle in considerazione?
V.d.P. Quanto meno pensarci. Carlo V è vicario di Cristo. Servire lui significa servire il papa…
U.A. L’imperatore continua a insultarmi con le sue proposte di tradimento. Come voi, del resto, giudica i rinnegati uomini senza spina dorsale, senza morale né rettitudine. Se vi capita di incontrarlo, e sono certo che l’occasione non mancherà al vostro ritorno, vi prego di riferirgli che Ulug’ Alì continuerà a regnare su Algeri e a servire il sultano di Costantinopoli.
V.d.P. D’accordo. Farò in modo di riferire il vostro messaggio. Ma vi prego di credere che io non vi giudico e che di voi ho la massima considerazione.
U.A. Non è vero ma farò finta di crederci. Non ho intenzione di pregiudicare l’affare che vi ha portato qui ad Algeri, anche se vi posso già anticipare che il mio umore non mi porterà a giudicare favorevolmente la vostra richiesta di abbassare il prezzo del riscatto del principe di Paternò.
V.d.P. A volte l’umore è cattivo consigliere. Bisognerebbe tenerlo lontano dalle trattative. E poi vi giuro sul mio onore che non intendevo offendervi.
U.A. Lo so bene ed è questo che mi fa infuriare. Il disprezzo nei confronti dei rinnegati non avete certo bisogno di pensarlo, l’avete già piantato nella mente come un chiodo arrugginito. Siete talmente certi che il vostro mondo sia il migliore, il giusto e il benedetto che non vi fate nessuna domanda. Eppure dovreste chiedervi perché a migliaia i cristiani chiedono asilo nelle città corsare.
V.d.P. La vostra dissolutezza li tenta. Servire il vero Dio è ben più arduo.
U.A. Vedete? Le parole vi sono sgorgate dal cuore e sono cieche. La verità è che il nuovo ordine dell’impero è costruito sull’oppressione e pregare il vostro Dio non basta a sfamare il popolo. Qui gli uomini possono scrollarsi di dosso la miseria e vivere degnamente.
V.d.P. Praticando la pirateria. Uccidendo e depredando navi e città.
U.A. Lo fanno anche i cristiani. Vorrei ricordarvi le imprese dei veneziani o dei cavalieri di Malta. Uccidono, stuprano e depredano come noi barbareschi. L’unica differenza è che prima degli assalti i preti dispensano l’eucarestia alla soldataglia. Vanno all’assalto benedetti, gridando il nome di Dio per farsi coraggio ma non vi è nessuna differenza. La verità è che la guerra di corsa è il cuore dei commerci. Tutti, musulmani e cristiani, ci sostentiamo con la pirateria. Come è stato dai tempi più antichi e come sempre sarà.
V.d.P. Permettetemi di dissentire, Eccellenza. I commerci non c’entrano nulla. Il vero scontro è tra le nostre civiltà. Tra Roma e Gerusalemme ci siete voi e i turchi, musulmani, ostili e peccatori, che impediscono la libera circolazione dei pellegrini. I cristiani anelano solo a poter pregare nei luoghi santi.
U.A. E a regnare ovunque…
V.d.P. Ve l’ho già detto: il papa e l’imperatore sono servitori di Dio, come questo frate.
U.A. Vedete, ci siamo ricascati. Non v’è discorso che non ci conduca a innalzare un muro invalicabile che ci impedisce di comprendere il senso delle parole.
V.d.P. Ve lo avevo detto fin dal principio che, al di là della considerazione personale, siamo nemici.
U.A. Io non vi ritengo tale. Se un giorno mi capitasse di catturarvi in mare e rendervi schiavo, vi lascerei libero di continuare a servire il vostro Dio. Se invece Allah misericordioso mi consegnasse nelle vostre mani, voi mi affidereste all’inquisizione, alla tortura e infine al boia.
V.d.P. L’inquisizione è il braccio di Dio. E lui, solo lui potrebbe decidere il vostro destino.
U.A. La vostra sicurezza mi spaventa, frate. È la stessa con cui dovevo amministrare le anime che mi erano state affidate quando indossavo la tonaca.
V.d.P. Confondete sicurezza con fede.
U.A. Ve lo concedo. Ma non v’è ragione né buon senso.
V.d.P. Spesso l’agire di Dio non è immediatamente comprensibile.
U.A. E con queste parole tutto trova giustificazione.
V.d.P. Pregherò per voi. Speravo che una piccola fiammella della vera fede ardesse ancora nella vostra anima, ma ora devo arrendermi all’evidenza che siete veramente…

...continua nel testo in allegato.