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Recensione per Settanta acrilico, trenta lana

Autore: Claretta
Testata: Reader's Bench
Data: 4 agosto 2011

In un buco senza fondo, in una voragine infinita sono precipitate Camelia e sua madre dopo la morte del padre in un tragico incidente stradale. Un città, Leeds, le ospita da anni, un quartiere operaio triste e degradato, il dolore di due donne che si consuma tra le mura di un appartamento.

Una coltre di neve perenne copre non solo la città ma il cuore e la mente delle due donne, le cui parole diventano rare come i giorni di sole in Inghilterra. In un silenzio assordante Camelia si prende cura della madre, abbandona l’università e si dedica completamente a quella genitrice che non fa altro che fotografare buchi.


Tra le strade del quartiere, nei brevi momenti di pausa, la ragazza si aggira come un fantasma sola al supermercato, al cimitero per ghigliottinare fiori o intorno ai cassonetti dai quali estrae strani indumenti.

Ad interrompere la monotonia dei giorni di dicembre arriva l’incontro con Wen, proprietario di un negozio di abbigliamento dal quale provengono quegli abiti. Insieme al ragazzo, che le insegnerà gli ideogrammi cinesi, Camelia tornerà a parlare, ad accorgersi del veloce succedersi delle stagioni, ad innamorarsi.

Ma la diffidenza, il dolore, l’incapacità di amare ed essere amata faranno il resto, in un storia dal finale purtroppo prevedibile.

Viola Di Grado inizia questo suo romanzo con un pugno nello stomaco, un pugno che difficilmente si dimentica ed un modo proprio e unico di raccontare la solitudine, l’incomunicabilità dei nostri giorni.

Una ricerca stilistica, linguistica che non trova eguali nelle pubblicazioni degli ultimi anni che accosta immagini forti, riferimenti alla cultura pop, al mondo visionario delle generazione anni’80.

L’autrice non induce mai nel compiacimento anzi sembra voler accompagnare il lettore in questo mondo torbido e ricco di contrasti come in una foto di Diane Arbus.Una scoperta straordinaria, un personaggio unico, la giovane e talentuosa Viola Di Grado. Non citerò né le candidature né i premi da lei vinti nell’ultimo anno perché credo che nulla possano aggiungere alle sue straordinarie capacità.

Una storia, anche se potrebbe sembrare il contrario, non autobiografica ma dalla quale scaturisce una forza inesauribile e che lega a sé tre culture.

Ancora una volta Pennacchi aveva ragione quando diceva che il futuro della letteratura italiana risiede nelle autrici donne e negli scrittori stranieri che scrivono e vivono in Italia da molti anni. Un altro 10 per la nostra panchina.