Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

L'ultima dichiarazione

Autore: Francesca Gori
Testata: L'indice dei libri del mese
Data: 3 febbraio 2023

Nel corso della sua lunga storia il potere sovietico si è sempre distinto, nell'esercizio della “giustizia”, per la puntigliosa applicazione delle procedure formali, fino a trasformare i dibattimenti processuali a sfondo politico in una sorta di rappresentazione teatrale con un copione accuratamente studiato e collaudato. Tale copione contemplava anche la cosiddetta “ultima dichiarazione”, ossia un discorso di autodifesa che l'imputato aveva il diritto di pronunciare nell'aula del tribunale prima della formulazione della sentenza. La sua dichiarazione risultava ininfluente sulla sentenza finale, ma per un'amara ironia aveva in taluni casi la capacità di mettere a nudo il vero volto di un regime oppressivo e criminale. Sulla stampa sovietica veniva dato grande risalto ai processi politici di cui si pubblicavano i resoconti stenografici delle sedute, spesso tradotti nelle lingue straniere, ritenuti dal regime un efficace strumento di propaganda ideologica a uso non soltanto dell'opinione pubblica interna, ma anche di quella internazionale. Nel periodo staliniano, nei rari processi pubblici gli imputati, che erano costretti ad autodenigrarsi e ad ammettere le proprie colpe, spesso dopo aver subito torture e abusi, incluse minacce nei confronti dei loro familiari, sembravano agire come attori di una messinscena teatrale. È quanto emerge anche dai dossier desecretati con l'apertura degli archivi sovietici all'inizio degli anni Novanta, da cui emerge che questi “copioni”, scritti dai cekisti, erano spesso corretti dallo stesso Stalin. Uno dei processi più famosi di questo periodo fu quello contro Nikolaj Bucharin. Nella sua dichiarazione di autodifesa Bucharin pur accettando l'accusa di esse un “traditore e un nemico del popolo”, cercò di confutare uno dopo l'altro con estrema lucidità tutti i capi d'imputazione, ribadendo alla fine con fermezza le sue convinzioni politiche. (...)