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Nell’intimità del mondo di Damon

Autore: Erminio Fischetti
Testata: Fuorilemura.com
Data: 3 ottobre 2011

Il sottotitolo dell’ultimo romanzo di Damon Galgut, In una stanza sconosciuta (edito da edizioni e/o), recita: Tre viaggi. A volerlo analizzare bene sotto un aspetto meramente tecnico il libro non potrebbe essere definito neanche come romanzo. In realtà sono tre racconti lunghi e autobiografici – Il seguace, L’amante e Il guardiano – che narrano di tre percorsi del protagonista nei più remoti e affascinanti luoghi del mondo all’interno di tre continenti differenti come Africa, Europa e Asia. Dove, a seconda della fase della sua vita, Galgut si ritrova a ricoprire e a scoprire il ruolo di ciascun titolo. I luoghi fisici e interiori da lui attraversati vengono vissuti in tre fasi differenti dell’esistenza, momenti importanti nel quale lui fa i conti con la sua esistenza solitaria. È soprattutto questa dimensione a renderli essenziali al loro consumarsi, tre viaggi che possono rappresentare tre fasi distinte della propria vita, la giovinezza e l’innocenza, la sua perdita con l’età adulta e gli inevitabili rimpianti con la maturità della mezza età. I tre racconti sono graffianti come lame di coltello, come l’insofferenza della compagna di cui Damon si contorna nel terzo. Dalla Grecia all’Africa, tra il Malawi e la Tanzania, dalla Svizzera all’India passando per il Lesotho, le storie che si alternano per mezzo della penna dello scrittore sudafricano, già autore degli acclamati Il buon dottore e L’impostore (editi da Guanda), possiedono una sincerità e una sensibilità talmente delicata e allo stesso tempo crudele da arrendersi di fronte alla bellezza di una scrittura sapiente e possente ed espressa attraverso la voce di un pessimismo lacerante e distruttivo.

Galgut attraverso le pagine da lui scritte ricerca la sua dimensione spirituale, il suo io più interiore dilaniato da una cocente sofferenza umana, fatta di una mancanza di patria, ancora distrutta dalle politiche laceranti dell’apartheid nonostante la sua fine, nella generazione letteraria dell’autore, sia già ampiamente definita, e dalla sfera sessuale.

Sebbene le condizioni storiche e sociali non siano menzionate quasi per niente è proprio attraverso questa mancanza che si palpa l’enorme sofferenza del personaggio, derivante da un Paese lacerato e distrutto dalle problematiche di un razzismo imperante per decenni e decenni. L’omosessualità, inoltre, acquisisce, come il suo laicismo politico e morale, un punto di vista liminale, una differenza e uno sguardo ancora più intenso e drammatico. In questo contesto, l’amore è un aspetto destinato a consumare e uccidere chi lo nutre. Le storie d’amore di Damon, infatti, restano tutte in potenza: ne Il seguace, quando prova a catturare le attenzioni di un compagno di viaggio, il rapporto diviene a tratti masochistico nella sua ricerca di un affetto che non si trasforma in quello che lui vorrebbe, ne L’amante, al contrario, quando viene desiderato da un giovane svizzero, lui inconsciamente lo rifugge pur desiderandolo ardentemente, quasi a definire l’eterna circolarità dei sentimenti e degli affetti. Una solitudine, la sua, che lo consuma, che lo fa essere differente da tutto e da tutti, forse all’inseguimento di un inafferrabile desiderio dell’ordinario e parimenti del suo rifiuto. O, semplicemente, la consapevolezza di non poterlo avere.

Dal punto di vista della mera tecnica di scrittura, In una stanza sconosciuta, meritatamente rientrato tra i finalisti del Man Booker Prize del 2010, è un vero e proprio gioiello di estetica narrativa. A cominciare dalla mescolanza dell’uso della prima e terza persona all’interno dei tre racconti, tanto da definire una scissione tra uno sguardo allo stesso tempo intimo e distaccato di se stesso, una forma cinica di autocritica e autoanalisi. E il “prodotto finito” è composto di una struttura asciutta, ridotta all’osso. Le descrizioni dei paesaggi e della natura, spesso presenti nella letteratura di viaggio, qui lasciano il posto a qualcos’altro, qualcosa di impalpabile e indefinibile. Come il disagio umano del nostro Damon. Che evidenzia i propri difetti, i propri limiti umani e accetta per se stesso la condizione solitaria e apolide di un viaggiatore perso nei meandri del mondo; un individuoche pone interrogativi ai quali, com’è giusto che sia, non riesce a dare delle risposte. Lui, Damon Galgut. Alla fine il più libero di tutti, il più coerente, il più sincero.