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Il potere delle parole - immigrati, razzismo e conoscenza

Autore: Paolo Fallai
Testata: Il Corriere della Sera - Roma
Data: 7 maggio 2006

Non bisogna fidarsi di questo romanzo. Comincia a portarti fuori strada fin dal titolo “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio”, accattivante, ironico, ammiccante. Prosegue con l’edizione voluta da E/O, una misura tascabile, amichevole, con il tratto di Chiara Carrer a disegnare su copertina e controcopertina una folta umanità di personaggi. E poi c’è lui, Amara Lakhous, l’autore che bisogna assolutamente incontrare per rendersi conto che è fatto di un impasto di sorrisi, Algeria, nostalgia, paura, testardaggine e capacità. La sua storia: è nato nel 1970, si è laureato in Filosofia ad Algeri e nel 1994 ha cominciato a lavorare pr la radio algerina. Neanche un anno dopo ha dovuto scegliere dove voleva stare con qualche chance di sopravvivenza: è arrivato a Roma nel 1995, un clandestino come tanti. Qui ha imparato l’italiano, ha conquistato il lavoro e i documenti, si è poi iscritto all’università laurendosi in Antropologia culturale alla Sapienza. Oggi lavora come giornalista all’agenzia Adnkronos e scrive romanzi che non si sa bene come prendere.

La prima lettura dello “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” è come bere un bicchiere d’acqua. Fila via nel tempo strettamente necessario per goderselo. È un romanzo polifonico. Ognuno dei personaggi racconta la storia dal suo punto di vista, col suo linguaggio, il suo “spartito”, ma il perché lo scopriremo dopo. Solo il personaggio principale interviene ripetutamente con i suoi “ululati” e un diario che segue un proprio calendario emotivo. Al centro c’è un omicidio, ma di questo fatto di sangue si parla pochissimo. Quel che conta veramente è l’assenza del protagonista, tale Amedeo. Che è sempre pronto ad aiutare tutti gli altri, dal cuoco iraniano che odia la pizza e viene sbattuto a lavare i piatti, alla portiera napoletana che si ostina a scambiare un bengalese per un pachistano facendolo imbestialire. Amedeo ha una parola buona per tutti, un aiuto per tutti: per la signora anziana a cui è rimasto solo l’affetto per il cane e che lo perde, alla badante peruviana che muore di nostalgia e di solitudine. Amedeo è scomparso. Su questo il romanzo si arrampica agilmente. E sembra sia lì, nel ruolo di questo benefattore del piccolo popolo di piazza Vittorio, il nodo centrale di tutta la storia. E invece…

Come va a finire lo scoprirà solo chi avrà voglia di godersi la lettura. Per prendere consapevolezza che il vero protagonista della storia, di tutta questa storia di immigrazione, integrazione, amicizia, solidarietà, polizia, vino e piccioni di piazza Santa Maria Maggiore, è il linguaggio.

Amedeo è il personaggio principale perché conosce l’italiano e le lingue degli immigrati, è un traduttore. Possiede il potere delle parole: si fa capire dalla disperazione, ma anche dall’autorità. È capace di offrire parole di consolazione e indicazioni pratiche su un permesso di soggiorno.

Accidenti! Questo benedetto scrittore algerino è stato capace di sbatterci in faccia una ovvietà rivoluzionaria. Senza parole, e senza conoscenza, nascono diffidenza, disperazione, violenza. Dove non ci sono parole prospera l’illegalità. Altro che novella d’immigrazione scritta da un immmigrato. Amara Lakhous parla di noi. E lo fa con tanta padronanaza da riproporre i peersonaggi italiani quasi meglio degli stranieri, magari esagerando un po’ quando si spinge nelle terre incerte del dialetto. Ma insomma, se lo può permettere.

“Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” è già un piccolo caso editoriale. Non solo perché le vendite procedono spedite, ma perché – come accade solo alla letteratura – toccando corde autentiche, la sua diffusione è affidata a una magia che nessuna campagna pubblicitaria potrebbe uguagliare. La settimana scorsa era addirittura al nono posto della classifica di vendite proposta dal Corriere della Sera. Nella sezione “italiani”. Amara Lakhous era commosso.