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I compagni che non sbagliano secondo Silone

Autore: Piergiorgio Paterlini
Testata: La Repubblica
Data: 12 novembre 2023

(...) Abruzzese, sopravvissuto al terremoto del 1915, Ignazio Silone è stato un dirigente di primo piano del Pci e uno dei suoi fondatori, a Livorno nel 1921, poi fra i primissimi ad accorgersi, solo cinque-sei anni dopo, della piega che aveva preso il comunismo sovietico, e a staccarsene dolorosamente. Mai, però, a separarsi dai compagni che già a quindici anni si era scelto: i poveri, gli ultimi. In questa mirabile conferenza dice: «Ciò che definì la nostra rivolta fu la scelta dei compagni. Fuori della chiesa del nostro borgo c'erano i cafoni. Non era la loro psicologia che ci attirava, ma la loro condizione». C'è, in questa nitida frase, tutta la passione, ma anche tutta la lucidità e l'ironia e l'autoironia di Silone che, in questo intensissimo testo, delinea la sua lotta contro la «lebbra del nichilismo», cioè l'accettazione del mondo così com'è, abbozza il rifiuto del fine che giustifica i mezzi (più tardi scriverà: «non esiste l'a fin di bene, esiste solo il bene»), l'imperativo etico che non fa dipendere dal successo la validità dell'amore per gli oppressi, che nessuna delusione storica può mettere in dubbio». E c'è, infine, la letteratura come ultimo baluardo di speranza. «Cosa volete che facciano dei profughi dalla mattina alla sera? Essi passano il meglio del loro tempo a raccontarsi le loro storie. Ora, finché sussiste un'ostinata volontà di capire e di far sapere quello che si è capito, forse non c'è del tutto da disperare».