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Oltre il risentimento: le responsabilità dell' Africa

Autore: Alessia Rastelli
Testata: Corriere della Sera - La Lettura
Data: 31 agosto 2025

Nel romanzo «Maschio nero» il protagonista senegalese, in Francia da un ventennio (come l'autore), cerca la sua identità. Sente un debito con il Paese d'origine, il peso del colonialismo, ma vive anche opportu-nità (e problemi, vedi il razzismo) del luogo di arrivo. «La logica del conflitto può essere una trappola, serve superarla» dice lo scrittore a «la Lettura»

«Sono un uomo nero, la mia vita è una pagina intonsa su cui la mia famiglia e la mia comunità hanno proiettato le loro aspettative, e il mondo la sua reputazione e i suoi fantasmi. Tra gli interstizi stretti e schiaccianti resta una possibilità di vivere». È in queste «maglie rotte», in queste fessure che, sospeso tra il peso del passato e un presente incerto, cerca la libertà (e la sua identità) il protagonista senza nome del romanzo Maschio nero di El Hadj Souleymane Gassama. «Elgas», nella forma contratta che l'autore stesso usa, senegalese, 37 anni, da circa venti in Francia, come il suo personaggio-narratore e quasi un suo doppio.

Sociologo, saggista, giornalista, oltre che romanziere, Elgas è emerso con posizioni forti nel dibattito sull'Africa, la migrazione, la decolonizzazione. E Maschio nero (2021), arrivato ora in Italia da e/o, si può leggere dal punto di vista dei temi come una sorta di capitolo letterario di questa riflessione più ampia, iniziata con il dottorato e proseguita, per il momento, fino al volume del 2023 I buoni risentimenti. Saggio sul disagio postcoloniale (e/o, 2024). Va comunque precisato che Maschio nero è tutt'altro che narrativa a tesi. Letterariamente funziona: con il suo linguaggio a tratti esplicito, estremo e poi improvvisamente delicato, cattura narrando la ricerca dell'amore di un giovane che non sa ancora amare sé stesso. Un'inchiesta universale cui si aggiunge lo specifico del protagonista: «Ero un nero, il che implicava farmi carico di una parte di storia scritta prima di me. Avevo commesso un'imprudenza a credere che gli uomini fossero gli stessi dappertutto».

Elgas-scrittore invece ci crede. Portavoce di un approccio dialogante che vada «oltre il risentimento e le trappole identitarie», parla a «la Lettura» da Parigi, alla vigilia del Festivaletteratura di Mantova.

Il romanzo si apre con la discussione della tesi di dottorato del protagonista sui trasferimenti di denaro degli immigrati alle famiglie, inteso anche come rimborso di un debito morale. Lo stesso tema del suo dottorato, Elgas.

«Il debito è centrale nel libro: quello che il protagonista sente verso la madre, alla quale invia denaro, e la comunità d'origine. Un legame su cui volevo porre domande, capire se si possa superare abbracciando valori nuovi, cercando di stare bene nel Paese d'arrivo. Spesso il prezzo è la solitudine. E a questa si aggiungono una certa mancanza di spensieratezza, dovuta alla condizione nera che ti precede, e i problemi che comunque nel nuovo Paese ci sono, il razzismo ad esempio».

Lo ha mai subito?

«Mi sono visto rifiutare appartamenti, sono stato ferito... Se sei nero, la probabilità d'incontrarlo è del cento per cento».

Nel libro si distingue la diaspora dei ricchi da quella dei poveri, aggiungendo che «tutti sarebbero stati infelici».

«Mi sembrava importante mostrare anche le logiche di classe. Ma l'idea ultima è che siamo uguali. In Europa si distingue tra rifugiati e migranti economici ma, se parti su un barcone o in aereo, stai comunque lasciando il tuo Paese perché lì non c'è quello di cui hai bisogno».

Europa e migrazioni: cosa ne pensa?

«Il problema è storico. Ovunque ci siano nuovi arrivi, le popolazioni del posto hanno paura. La miseria africana non può semplicemente riversarsi in Europa, non sarebbe un bene neppure per l'Africa. Ma serve realismo, non puoi chiuderti del tutto. Tanto più se storicamente, con il colonialismo, hai creato una relazione che spinge a venire nel tuo Paese». (...)