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Un pastore evangelico con le vene tagliate

Autore: Mario Baudino
Testata: La Stampa / Tuttolibri
Data: 6 novembre 2011

Santiago Gamboa non sarà mai uno «scrittore versatile » almeno al modo in cui questa figura viene definita in Morte di un biografo, romanzo fiume costruito a incastro, romanzo di romanzi dove si incrociano storie che apparentemente sono autonome e in realtà vengono intrecciate l'una con l'altra fino a quando il protagonista non venga infine catturato dal loro labirinto, diventando parte di esse. Lo scrittore versatile «è quello che sa nuotare nelle acque torbide dei gusti popolari senza darlo tanto a vedere», come spiega un esigentissimo editore israeliano durante un convegno che si tiene in una Gerusalemme sotto assedio, preda di una guerra feroce, presagio di apocalisse cui nessuno, peraltro, sembra badare. Lì, in un lussuoso hotel, si tiene il Congresso internazionale di biografi e della memoria. Ognuno degli invitati è un gran raccontatore, e narra la propria o l'altrui storia. Anche il personaggio che dice io, uno scrittore colombiano che come Gamboa vive un po' di qua e un po' di là, e che per giunta è reduce da due anni di inattività trascorsi in sanatorio, è stato invitato per parlare di sé.Nonlo farà, o meglio ascolterà soprattutto gli altri, tra cui si contano una porno star italo-messicana, un antiquario ungherese, un bibliofilo francese, un industriale colombiano fuggito dal Paese, un pastore evangelico che ha alle spalle inferni di droga e prigione. Proprio costui, dopo la sua trascinante conferenza dove ripercorre le gesta di un messia ispano-americanoa Miami, verrà trovato nella vasca da bagno con le vene tagliate, «suicidato». E il protagonista si metterà - blandamente
- a indagare sul misterioso decesso, coadiuvando una buffa giornalista islandese dalla sessualità trascinante e dalla sete inestinguibile, che per la verità si distrae continuamente e non scrive mai una riga. Il tempo cronologico del romanzo è fra qualche anno, e tutti i conferenzieri citano così avventure occorse grosso modi oggi, in vari paesi del mondo. Sono terribili, estreme, grottesche, perché Gamboa - o una delle sue molte incarnazioni letterarie
-, è convinto che «le vite sono come le città: se sono pulite e ordinate non hanno storia. E' nella rovina e nella disgrazia che nascono le storie migliori». Rovina e disgrazie abbondano, quindi non ci sarebbe problema, sembra suggerire l'autore, beffardo e talvolta irresistibilmente comico. Ma abbondano anche le coincidenze: le storie sono piene di rimandi l'una all'altra, secondari, minimi, come tracce o indizi. Tutti per esempio a un certo punto della loro travagliata esistenza mangiano panini di pollo bevendo Coca cola light; molti hanno un terribile sogno ricorrente e comune, qui e là compaiono e si ripetono per personaggi diversi gli stessi nomi. Gamboa gioca con livelli linguistici e stilistici diversi e con spezzoni di trame celebri o meno note, inserisce ora esplicitamente ora allusivamente libri e romanzi altrui, riscrive persino il Conte di Montecristo in chiave colombiana, tra narcotrafficanti, guerriglieri e paramilitari. Per molti aspetti Morte di un biografo, dove il rinvio al Decamerone è addirittura esplicito, sembra apparentarsi conla narrativa genialmente caotica di Roberto Bolaño; per altri però dà l'impressione di volerla reinterpretare alla luce di una logica tutta razionale, di un'esaltazione dell'esattezza nel gioco degli incastri: propriocomeuna partita a scacchi, cui peraltro è dedicata una delle più efficaci«memorie » di un libro obiettivamente trascinante. Emai«versatile».