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Wolf, il rimorso sotto il cappotto

Autore: Luigi Forte
Testata: La Stampa / Tuttolibri
Data: 12 novembre 2011

Per l'emigrante Brecht la città di Los Angeles era l'immagine dell'inferno, «un salone di bellezza», annotò in una prosa del 1942, «da cui provengono terribili urla di dolore» e dove gli angeli sono stanchi di sorridere. Erano tempi bui per un'intera élite intellettuale che aveva reso grande la cultura tedesca prima del nazismo e che si scopriva senza futuro. Tempi di esilio, di identità vacillanti, di speranze soffocate. In quel beato angolo di mondo che qualcuno definì «Weimar sotto le palme», filtravano i fantasmi di una patria lacerata, i ricordi dispersi e l'angoscia del presente. Non è forse un caso che proprio quella realtà trovi spazio nell'ultimo, ampio libro di Christa Wolf, La città degli angeli. Ovvero the overcoat of Dr. Freud, nell'ottima versione di Anita Raja. Perché ancora una volta la grande scrittrice della ex Rdt riflette sulla propria identità e su quella del suo Paese, su un passato che non trova risposte nel presente, su rimozioni o colpevoli silenzi. La Wolf non ha scritto un romanzo ma intessuto un testo anomalo ed eterogeneo, che raccoglie e amalgama spunti narrativi, viaggi della memoria in un costante intersecarsi di piani temporali. Cronistoria in apparenza del suo soggiorno di nove mesi nella metropoli californiana fra il 1992 e il '93 su invito della Fondazione Getty, La città degli angeli è piuttosto un'anamnesi per capire le contraddizioni del presente, una vivisezione della propria esistenza in un turbinio di tensioni e di fronte alla crisi in cui la scrittrice è sprofondata dopo la divulgazione dei dossier dei servizi segreti della Rdt. Lei non era stata solo spiata per oltre trent'anni come voce indipendente e critica, ma fra il 1959 e il 1961 aveva collaborato, sia pure in modo del tutto informale e senza alcuna delazione, con quella stessa polizia segreta. E' in America quando si scatena la bagarre sui giornali tedeschi, ma la distanza non giova; anzi sembra relegarla in una sorta di esilio dalla propria vita. Come le suggerisce l'amica Sally, deve andare a fondo di stessa. Decide di ridiscendere nel pozzo del passato, capire come abbia potuto dimenticare quel fatto così increscioso, rivoltare il cappotto del dottor Freud, in cui la memoria si era avvolta. E la terapia ancora una volta abbraccia la scrittura che, come lei ricorda, «è approssimarsi alla linea di confine che il segreto più intimo traccia intorno a sé». E il libro prende il volo oltre le angustie personali e consegna al lettore un mondo ricco di sensazioni, immagini, protagonisti e luoghi: dal milieu degli intellettuali progressisti spesso legati all'ambiente degli emigrati ebraici di seconda generazione, ai flash di vita quotidiana tra la miseria dei senzatetto e le ville hollywoodiane; dai rapporti spesso intensi con i colleghi borsisti con cui si sviluppa un dialogo vivace e produttivo, al costante sconfinamento nel proprio e altrui passato. Come già nel bellissimo Trama d'infanzia (e/o,
1992), la voce dell'io narrante si alterna al tu della donna matura alla ricerca della prima età, e come altrove, per esempio nel racconto Che cosa resta (e/o, 1991) la Wolf richiama l'esperienza dell'estraneità: non il mondo americano le sfugge, ma la realtà del suo paese dissoltosi nell'unificazione. La città degli angeli è il luogo, quasi metaforico, degli interrogativi, lo spazio di una verità inquieta e transitoria, che si rimette sempre in discussione e che, come nel Galileo di Brecht citato dall'autrice, cerca un punto di equilibrio in un compromesso senza dogmatiche chiusure. Nella ricerca della propria identità la Wolf scandaglia passato e presente, si appoggia a pagine di Thomas Mann, si proietta in una contro-figura femminile: quella L. sfuggita ai nazisti ed emigrata in America, che, attraverso le lettere scritte ad un'amica nella Rdt, la Wolf si è proposta di individuare e studiare. Un altro modo per interrogare se stessa, come aveva già fatto con mitiche e problematiche figure come Medea e Cassandra. Per poi alzarsi in volo, con la fantasia, tra Santa Monica e Malibu, alla fine della sua impietosa autoanalisi, e prendere commiato osservando la bellezza del mondo. Ora sì che gli angeli riprendono a sorridere.