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intervista

Autore: Claudia Bonadonna
Testata: pulp
Data: 15 luglio 2001

Dei suoi romanzi ama dire che non danno mai buone notizie. Troppo espliciti, diciamo noi, troppo impietosi nel raccontare un'Italia che le cronache televisive ci lasciano appena avvertire. Massimo Carlotto usa i suoi gialli come inchieste. Giornalistiche, naturalmente. Per quelle giudiziarie nutre un giusto scetticismo dopo la surreale e tragica vicenda processuale che lo ha visto protagonista nella sua vita precedente (quella vita da anni settanta in cui non era ancora uno scrittore di successo ma un giovane militante accusato di omicidio). Sarà per questo che il suo alter ego detective, Marco buratti detto l'Alligatore, la verità la cerca sempre nelle strade, fuori dalle cronache e dai tribunali. Sarà per questo che sempre più lettori si sono affezionati al suo incedere implacabile e malinconico, al suo ritmo blues. E anche se l'ultimo romanzo, Arrivederci amore, ciao ( lo recensivamo un paio di numeri fa) , lo mette da parte per allestire l'epopea malvagia del criminale Giorgio Pellegrini, i modi e i moti del suo autore sono sempre gli stessi: analisi rigorosa, pessimismo della ragione e un po' di sana indignazione morale.

Dunque ti sei preso una vacanza da Marco Buratti. Era forse la necessità di sganciarsi dai vincoli di un personaggio noto per affrontare in tutta libertà una storia a più ampio spettro sociologico?

Da tempo avevo voglia di scrivere un noir sulla nuova figura del malavitoso professionista. In particolare quella espressa dalla globalizzazione dell'economia, che ha innescato una rivoluzione epocale nell'universo criminale. Inserire questa figura all'interno di un romanzo della serie dell'Alligatore avrebbe significato porla in secondo piano, con il limite di non riuscire a scavare a fondo nella dimensione umana e psicologica. Ho preferito scrivere in prima persona per esprimere al meglio il punto di vista malavitoso. E il mondo di sconfitti che lo circonda. Soprattutto quello femminile, totalmente perdente e sottomesso a questa nuova leva di "professionisti" che non rispetta le regole e ragiona in termini "imprenditoriali", senza un briciolo di umanità.

Se l'Alligatore è il classico eroe noir, uno che pur vivendo ai confini della legalità rimane comunque al servizio di un superiore ideale etico, il tuo nuovo protagonista, Giorgio Pellegrini, è il cattivo assoluto, il perfetto amorale, una sorta di compendio delle tipologie del male. Un pessimo che però alla fine vince: perché questa scelta…impopolare?

Giorgio Pellegrini è la somma di tre personaggi che osservo da anni, nel senso che ho seguito le loro storie processuali, carcerarie il loro inserimento nella società attraverso il crimine. Cattivi assoluti, caratterizzati da un'impressionante anestesia morale e affettiva. In loro ho ravvisato una continuità con molti altri malavitosi che ho auto modo di conoscere in giro per il mondo. Mi ha sempre colpito la totalità della scelta criminale, nel senso che non si manifesta solo nella preparazione e nell'esecuzione di un reato ma in ogni singolo aspetto della vita. Dimensioni esistenziali difficili da comprendere per chi non è entrato in contatto con questo mondo. Per questo ho voluto scrivere una storia dove il cattivo vince e anche perché è ira di convincersi che il crimine paga. E bene. Secondo le Nazioni Unite il reddito annuale delle organizzazioni criminali transnazionali è di diecimila miliardi di dollari. Una cifra impressionante, guarda caso identica alla somma dei PIL dei paesi in via di sviluppo… Nel mondo della malavita non si vince se non si è assolutamente cattivi. E l'unico modo per sopravvivere e per non finire in galera.

Giorgio Pellegrini è un reduce della lotta armata che certo non fa bella pubblicità alla causa: si vende al miglior offerente, si salva stipulando beceri accordi con magistrati compiacenti…non posso fare a meno di chiedermi quanto ci sia di tuo nel raccontare la disillusione di quegli anni e l'impossibilità di costruire una relazione sana con gli apparati di potere…

La storia del movimento e della mia generazione è estremamente complessa. In ogni romanzo introduco sempre degli elementi di riflessione perché fa parte della mia vita e n ho sempre rivendicato, con fierezza, l'appartenenza. In Arrivederci amore, ciao ho voluto raccontare la strategia dei ricatti all'interno dei grandi processi alle organizzazioni armate, che ha permesso a un certo numero di furbi di evitare la galera. Il meccanismo era semplice: in cambio del silenzio, i cosiddetti irriducibili, soprattutto quelli con diversi ergastoli sulle spalle, i addossavano colpe non loro. Una vera aberrazione umana, politica e giuridica. Tipica comunque del nostro sistema giudiziario che ha sempre affrontato le emergenze sulla terreno della trattativa. Terrorismo, mafia, tangentopoli… Il mio rapporto con il passato è di memoria e non di disillusione. Preferisco raccontare verità scomode che nascondere lo sporco sotto il tappeto.

Pellegrini è spinto da un bruciante desiderio di normalità, che raggiunge al prezzo di trasformazioni onerose e senza scrupoli. Una metafora (estrema) del qualunquismo italiano?

No. In realtà si tratta della nuova strategia criminale che impone di uscire dal mondo della marginalità e di mimetizzarsi all'interno delle pieghe del processo produttivo e del tessuto sociale che lo rappresenta. Questo costringe il soggetto ad adattarsi a comportamenti "normali" un tempo totalmente estranei alla cultura dell'illegalità. Il qualunquismo italiano rappresenta la copertura perfetta. Politicamente e socialmente innocuo.

Eppure il Nostro non disdegna scenari criminali più classici. La rapina ad alto gradiente militare che organizza insieme ai crudeli ustascia ed ex terroristi disposti a tutto sembra ripetere schemi già visti dal vero (a Milano, qualche anno fa, e più di recente a Roma). E' questa secondo te la nuova frontiera della malavita?

La specializzazione militare nelle rapine è dovuta all'insediarsi nel nostro territorio di culture criminali provenienti dall'est europeo. La mafia russa e quella croata, in particolare, hanno assorbito molti ex-appartenenti alle forze speciali dell'esercito e della polizia. In generale la "capacità" mlitare è una caratteristica di tutti gli appartenenti alle bande provenienti dai Balcani, gente che ha espletato il servizio militare per almeno tre anni, e che dunque ha un elevato livello di addestramento con le armi da fuoco. Non bisogna poi scordare poi che gli arsenali dell'est sono da anni in vendita al miglior offerente e per le bande di rapinatori, anche italiane, è ormai estremamente facile reperire armi, lanciarazzi, ed esplosivi. Si tratta indubbiamente di un salto di qualità della malavita, quella comunque legata alla marginalità ed alla vecchia cultura criminale dell' "assalto alla ricchezza". Le grandi organizzazioni stanno gradatamente abbandonando i reati rischiosi e poco remunerativi per dedicarsi ai tre grandi settori di intervento sviluppati dalla globalizzazione: ambiente, salute e alimentazione.

Ecco allora che l'azione si sposta nel ventre molle del nord-est. Dove, contrariamente a quanto lasciano intuire i racconti satirici - e tutto sommato sentimentali - di un Aldo Nove o dell'ultimo Mauro Covacich, si respira un'aria greve e inquietante: intrecci segreti di economia, politica e criminalità, poteri occulti…

Il nord-est si è trasformato in uno straordinario laboratorio criminale. La commistione tra economia legale e illegale e un uso sistematico dell'evasione fiscale hanno di fatto determinato il boom che caratterizza il territorio. Disseminato di ditte che producono la materia prima che viene poi lavorata nei laboratori clandestini da manodopera in stato di semischiavitù e gestita dalla malavita organizzata. Per non parlare della disinvoltura degli investimenti, come quello di alcuni industriali di Treviso che hanno fornito la copertura economica a un locale di lap dance gestito da una delle tante mafie dell'est, un posto dove, fino a che non è intervenuta la polizia, si praticava manifestamente la prostituzione. Ma il dato veramente allarmante - e affascinante per un autore di noir- è il proliferare di gruppi di professionisti che si consorziano per offrire "servizi" alla nuova malavita, dal riciclaggio, ai finanziamenti, alla copertura fiscale. Un fenomeno nato all'interno dell'economia sommersa e illegale che, col tempo, si è allargato al mondo del crimine, coinvolgendo direttamente quello della politica e delle forze dell'ordine. La corruzione è il meccanismo fondamentale dell'attività di questi consorzi, come dimostrano gli arresti eccellenti compiuti negli ultimi mesi. Il mio sguardo privilegiato sul nord-est nasce da questa analisi e da uno studio approfondito delle trasformazioni socio-economiche. E criminali, ovviamente.

Una volta hai detto che il noir nasce dal racconto ella realtà, una realtà che i giornalisti non sempre possono permettersi di dire. Qual è allora il confine, supposto che ci sia, tra letteratura, inchiesta e denuncia?

ono convinto che il noir sia uno strumento straordinario per raccontare la realtà che ci circonda, uno strumento in cui letteratura, inchiesta, e denuncia si fondono per fornire al lettore una radiografia estremamente precisa della società in cui viviamo. In questo senso, il noir sostituisce efficacemente l'inchiesta giornalistica vecchio stile ormai scomparsa dai media nazionali. Non solo perché è cambiato il mondo dell'informazione al giornalista, oggi, è delegato solo un ruolo di post-produzione della notizia, ma soprattutto perché in questo paese la querela per diffamazione è diventata uno strumento per imbavagliare la stampa. Il noir ovviamente non ha questo problema: mescolando fiction e realtà non lascia spazio ad alcuna censura giudiziaria. A questo proposito, in un recente convegno in Francia, alcuni autori italiani si dicevano preoccupati per il fatto che questo genere non infastidisse più il potere. Ma di questo io sono sempre stato convinto. Il ruolo del noir in realtà non è quello di punzecchiare il potere, ma di fornire elementi di riflessione al lettore. Strumenti per costruire consapevolezza e coscienza.

Possiamo parlare, come dicevamo prima nel caso dell'Alligatore, di un superiore intento etico?

L'Alligatore è un ex detenuto uscito dal carcere con l'ossessione per la verità. Quella vera. Non quella processuale che è parziale per natura, in quanto nasce in un'aula di giustizia dal contraddittorio delle parti. All'Alligatore interessa la verità che sta dietro, sopra e sotto i casi. Quella che permette di scavare a fondo nella realtà sociale. Scoprirla e raccontarla significa affermare un superiore intento etico. A differenza di molti altri investigatori, l'Alligatore cerca una giustizia alternativa a quella istituzionale. Ovviamente è solo letteraria, ma serve comunque a ribadirne l'intento etico.

Qualche spicciolo per concludere: in rete c'è un sito a tuo nome (www.massimocarlotto.it), cosa piuttosto comune per gli autori d'oltreoceano ma decisamente rara nel caso di scrittori italiani. Com'è nata l'idea? Credi nelle possibilità offerte dal web?

L'idea è nata a due giovani fan e provetti webmaster cagliaritani, Enrico Corona e Andrea Melis. Un giorno si sono presentati a casa mia e, dopo aver vinto le mie resistenze, mi hanno saccheggiato lo studio del materiale che ora appare sul sito. Confesso che la mia iniziale diffidenza verso un mezzo che non conoscevo si è trasformata in puro entusiasmo. Il sito mi ha permesso di entrare in contatto con moltissimi lettori e quindi di imparare molto. Inoltre mi ha dato la possibilità di sensibilizzare e coinvolgere tanta brava gente in alcune campagne di denuncia e solidarietà: dai desaparecidos argentini, al caso Ingala, al caso Monfalcone. Le possibilità della rete sono davvero straordinarie. Nel corso di questi anni i tuoi libri hanno conquistato un nutrito pubblico di fedelissimi.

Com'è il tuo rapporto con i fan? In fondo sei quasi una star…

Per carità! Io non mi sento affatto una star, la notorietà anzi mi imbarazza terribilmente. Ho un grande rispetto per i lettori affezionati e ascolto molto i loro consigli. Parecchi di loro li ho conosciuti alle presentazioni dei miei libri e ritrovarli anno dopo anno è diventato un appuntamento importante, soprattutto dal punto di vista umano.