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I piatti più piccanti della cucina tatara

Testata: I have a tale to tell..
Data: 6 gennaio 2012

Non saprei dire di preciso che cosa mi sia piaciuto di più di questo libro, forse perchè i punti a suo favore sono davvero più di quanti mi aspettassi.

La sua provenienza, tanto per iniziare. E qui apro una parentesi-spot pubblicitario: vivete in una città con una marea di negozi bellissimi, a prezzi discretamente accessibili, ma non avete il coraggio di permettervi un tour de force di shopping per paura delle occhiatacce di amici, fidanzati, parenti e portafoglio? Bene, allora non vi resta che aspettare la vigilia di Natale e poi uscire a comprare tutti i regali insieme. Ansia? Macchè, tornate che avete fatto una bella scorpacciata di negozi, così non patirete che durante le feste sono chiusi, avrete visto un sacco di posti, con la scusa di comprare per altri magari vi siete prese qualcosa per voi (piccolezze, OVVIO), e siete altruisticamente sollevate da ogni senso di colpa: chi osa lamentarsi delle spese se gli portate il regalo per cui vi stressa da un anno??

Ecco, il mio libro arriva proprio da un 24 dicembre pomeriggio così: io, Madre e i negozi di Padova. Sì, ammetto che lì per lì un po’ d’ansia c’è presa: negozi in chiusura, buste su buste con regali altrui, noi ci guardiamo e non ci siamo regalate niente. Peggio, non ci viene in mente niente da regalarci, niente che ci piaccia davvero. Poi si sa, le cose più vere a volte appaiono troppo semplici e non ci si pensa. Per fortuna che la mia libreria padovana preferita, “Le altre voci”, non si scorda tanto facilmente, ed è lì che ci siamo infilate per scambiarci i regali: io scelgo un libro per lei e lei per me, ce li facciamo incartare e li scartiamo la mattina dopo. Per lei l’evergreen “Lessico Familiare” della Ginzburg, per me il lampo di genio della poprietaria, cioè il libro della Bronsky. Tutto questo nell’atmosfera di calda familiarità che si respira in quel posticino di libri esclusivi, raffinati, dai colori tenui, dove sembra sempre (e spesso è proprio così) che si ricordino di te e dei tuoi gusti. Di me, sanno che ho un debole per gli scrittori graffianti (l’ultimo acquisto era un libro di Bourdain), e la Bronsky mi è stata caldamente consigliata dopo un battibecco fra mamma e figlia proprietarie (“A lei piacciono le storie un po’ cattive vero?” “No mamma, ma QUELLO è troppo cattivo!” “No no, secondo me è perfetto”). Così siamo uscite con due pacchetti iper-natalizi, il suo bianco con trine tartan, il mio rosso con fiocco di pizzo bianco. Non l’avrei scambiato con niente altro al mondo.

Con queste premesse mi aspettavo qualcosa di particolare, ma non certo un libro che ogni poche pagine ti fa pensare: “Ecco perchè amo leggere”.

La trama è semplice da rissumere, ma meravigliosamente complicata come a volte solo le vicende umane vere lo sono: una nonna dell’Unione Sovietica fa di tutto perchè fglia e nipote abbiano una vita agiata nell’ultimo quarto del ’900. Ma quando dico di tutto, è tutto nel bene, ma anche e per lo più nel male. Nonna Rosalinda è solo biologicamente tale, ma in realtà è un personaggio che definire “cattivo” è riduttivo. Le sue azioni “snaturate” agli occhi dei più, vengono da lei percepite più che legittime, indispensabili per garantire il meglio alla sua famiglia. Ricatti, sotterfugi, mazzette, violenze fisiche e psicologiche, per lei sono azioni fuori da ogni giudizio morale, semplicemente (e qasi candidamente) corrette. Si fa così perchè così si fa, e anche un po’ perchè (e questo l’ho percepito io da lettrice) gli atri lo lasciano fare.

Questo spiazza davvero del romanzo: che la voce narrante è proprio Rosa, la cattiva per tutti, ma che si considera splendido esempio da seguire. E questo spesso (troppo!) porta a pensare che forse tutti i torti non li ha. Proseguendo con la lettura inizi a insinuarsi piano piano ma inesorabilmente una sensazione, che poi si fa dubbio e deve essere scacciata perchè troppo inopportuna: e se avesse ragione lei? E se non fosse davvero cattiva, ma interessata al benessere di figlia e nipote, e loro le ingrate che lo rifiutano? Certe azioni sono innegabilmente orrorifiche (vendere la nipote a un pedofilo? far abortire la figlia?), ma Rosa non se ne distanzia mai, nè le sente tali, giudica solo gli altri troppo deboli e lamentosi.

Leggere il libro è un po’ vedere il mondo alla rovescia, cogliere le ragioni di quelle che noi liquideremmo come “cattiverie”, senza soffermarci su chi le commette e con quali pensieri. Si è schifati da questa donna, ma anche un po’ in colpa, perchè è impossibile non riconoscersi in almeno una delle meschinità che compie. Rosa è cattiva nei fatti, forse anche negli intenti, ma non lo sa, e proprio per questo non smette mai di avere sentimenti più umani, anche se vissuti a modo suo, ed è per questo che alla fine lei rimane, gli altri un po’ sbiadiscono.

Leggetelo se non avete paura di farvi domande su cosa siano il bene e il male e se davvero esistano.