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Amara Lakhous si racconta. Domani sarà a "Più libri, più liberi"

Testata: Booksblog
Data: 6 dicembre 2011

Autore di “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio” Amara Lakhous è uno scrittore algerino che ha scelto l’italiano come lingua per i suoi romanzi. È arrivato a Roma nel 1995 perché “ stanco di aspettare il mio assassino”, lasciandosi alle spalle un Paese martoriato dalla guerra civile e dagli attentati terroristici. Oggi Lakhous vive a Torino, dove sta preparando la sua ultima fatica letteraria, dopo avere trascorso più di 15 anni nella capitale. E proprio a Roma, in occasione della fiera della piccola e media editoria di Roma, “Più libri, più liberi”, presenterà Un pirata piccolo piccolo, pubblicato da e/o a giugno scorso, ma partorito nel 1993. È la storia di Hassinu, una specie di precursore del movimento delle primavere arabe, un quarantenne in crisi, con la particolarità di essere nato il 29 febbraio e quindi di compiere gli anni solo in quelli bisestili.
Allora Lakhous, il titolo del romanzo che presenterà domani ha dei chiari rimandi a due capolavori italiani, Un borghese piccolo piccolo di Monicelli e l’omonimo libro di Cerami. Il paragone è voluto?
In parte sì, perché amo molto il cinema e la letteratura dell’Italia, ma in realtà ho scritto il romanzo due anni prima di vedere il film e leggere il libro di Cerami. In arabo il titolo è La cimice e il pirata, ma ho dovuto cambiarlo per non confondere il lettore. Nella mia lingua d’origine cimice ha un solo significato ma in italiano indica, oltre all’insetto, lo strumento per spiare. E poi mi piaceva l’espressione “piccolo, piccolo” che dà una connotazione ironica.
E infatti l’ironia è un ingrediente fondamentale in tutte le sue opere.
Non ho dubbi, l’ironia, la commedia, la leggerezza come diceva Calvino, sono importanti. Non bisogna prendersi troppo sul serio. La chiamo commedia nera, fa ridere e anche un po’ piangere.
Il suo lavoro si può ascrivere nella letteratura della migrazione, lei si sente uno scrittore italiano?
Ultimamente mi hanno invitato a un convegno in Australia e sono stato invitato come autore italiano. Più che di letteratura della migrazione parlerei di una nuova letteratura che ha due potenzialità. Gli scrittori che vengono da un altro paese portano nella lingua di arrivo un po’ di quella di origine. Io ad esempio uso molto i modi di dire arabi. La seconda cosa è lo sguardo che hanno sull’Italia che per forza di cose è diverso da quello di chi è nato qui e ci ha studiato. Sono arrivato qui a 25 anni e da allora è iniziata la mia seconda vita. Ho un’età anagrafica che è 41 anni e poi ne ho una italiana. Quindi, a livello linguistico, sono un 16enne.
A proposito di lingua “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio” è stato scritto in italiano e poi è uscito anche in arabo. Non è stato però tradotto, giusto? Lo ha riscritto.
Sì, ho fatto una riscrittura, con tanti vantaggi. Il traduttore non ha il potere di tagliare e aggiungere, non ha il diritto di cambiare i nomi dei personaggi. Io invece quando riscrivo faccio quello che voglio perché sono il proprietario dell’opera. Sul piano linguistico inoltre c’è l’opportunità di dire alcune cose in italiano e altre in arabo. In “Divorzio all’islamica in viale Marconi”, ad esempio, Sofia quando parla della vita sessuale lo fa a suo agio in italiano, ma non nella sua lingua d’origine e lo stesso per le parolacce, le dice in italiano. Poi c’è la questione dei proverbi che tradotti non sono efficaci, per cui la sfida è inventarne di nuovi, o di adattarli.
E che ne pensa dei suoi colleghi italiani? Li legge, ci sono degli autori che preferisce?
Per quanto riguarda i contemporanei mi piacciono molto Carmine Abate, Giancarlo De Cataldo, Massimo Carlotto e Vincenzo Consolo che, oltre a essere dei bravissimi scrittori, sono anche degli amici. Dei classici invece adoro Leonardo Sciascia e Carlo Emilio Gadda.