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L'eleganza della "gauche caviar"

Autore: Maurizio Bono
Testata: La Repubblica - Almanacco dei Libri
Data: 22 settembre 2007

Quale sia il feromone segreto che sprigiona dalle pagine di certi libri facendoli diventare best seller, è il segreto più indagato da legioni di alchimisti dell'editoria. Ma se resta sfuggente come la pietra filosofale, è perché ogni caso editriale ha una formula diversa, per fortuna: altrimenti si assomiglierebbero tutti e per la noia non resterebbe altro da fare che leggere e rileggere i capolavori.

La formula di L'eleganza del riccio, che l'anno scorso in Francia ha fatto innamorare quasi mezzo milione di lettrici e lettori, ha per esempio tra gli ingredienti ironia colta, buoni sentimenti, ottimo retroterra letterario e filosofico, gusto estetico sofisticato ma di sostanza, quanto basta della ruffianeria parigina di Il favoloso mondo di Amélie e lo stesso illuminato fastidio per le ingiustizie di classe che al cinema ha dato un Marius et Jeannette di Guédiguian.

Infatti L'eleganza del riccio è una commedia sociale. E se il mondo è fatto a scale, non c'è scala sociale più erta di quella che collega i pianerottoli del numero 7 si Rue de Grenelle, scendendo dal quinto piano della famiglia del pomposo e vacuo deputato Josse, moglie, tre figli e due gatti chiamati Constitution e Parlement, giù fino alla guardiola della portinaia Renée, "54 anni, vedova, bassa, brutta, grassottella" e un gatto di nome Lev. E però Lev si chiama così in omaggio a Tolstoj, Renée è una formidabile autodidatta che adora Guerra e pace, ha letto Marx e liquidato Husserl appena capito che la fenomenologia dopotutto non ce la fa a demolire l'idealismo kantiano, ama il cinema, l'arte e la cucina giapponese, Blade Runner e Mahler. Ma si concede tutto questo solo in segreto, e allo scopo di non essere smascherata dai cretini snob dei piani alti tiene accesa tutto il giorno la tv per corrispondere "fedelmente al paradigma della portinaia forgiato dal comune sentire".

L'unica a intuire la superiorità intellettuale e umana della mirabile portinaia sarà così la ragazzina Paloma, a sua volta sensibile genietto in incognito che a scuola simula la mediocrità per non rischiare l'esclusione e medita il proprio suicidio al tredicesimo compleanno pur di non crescere cinica e superficiale come tutti gli adulti che conosce.

I due brutti anatroccoli sapienti finiranno naturalmente per allearsi, con la complicità di un signore giapponese di nome Ozu - l'unico inquilino colto e ricco, dopotutto questa è una commedia sociale riformista - di rue de Grenelle 7, che capisce tutto al primo sguardo perché ha nel suo DNA culturale il concetto di wabi, "forma nascostad el bello, qualità di raffinatezza mascherata di rusticità".

Ma il meglio del libro non è il plot, è il divertimento senza risparmio di mezzi e di bibliografia con cui l'autrice, la quarantottenne docente di filosofia Muriel Barbery fa sorridendo a pezzi la supponenza di rampolli super istruiti e ignoranti (come la sorella di Paloma, Colombe), tirati su a vitamine e complessi di superiorità da genitori sopravvissuti a decenni di strutturalismo e psicanalisi lacaniana solo per impasticcarsi di Prozac e di false sicurezze post-borghesi.

Alla fin fine così intelligente e perbene da poter aspirare a un superattico in rue Grenelle e frequentare Ozu-san per la cerimonia del tè, Muriel Barbery si prende en passant perfino la soddisfazione di ammazzare per la seconda volta (qui con un infarto) il protagonista del suo precedente e primo romanzo, il cattivissimo critico gastronomico di Una golosità (Garzanti, 2001). Che era già uno sberleffo contro lo snobismo della gauche caviar (lì, alla lettera), ma non aveva azzeccato la misteriosa ricetta del best seller cotto a puntino.