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Il melting pot di via Marconi

Autore: Filippo La Porta
Testata: Left
Data: 22 ottobre 2010

Amara Lakhous, nato ad Algeri nel 1970 e in Italia da 15 anni, autore del bestseller Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio, non è un temperamento tragico. Al contrario, mostra un'evidente predilezione per la commedia, forse in ciò contagiato dal nostro Paese: non a caso cita spesso nei suoi romanzi film italiani, e poi una volta ha confessato di aver scelto il nostro Paese per poter vedere i nostri film in versione originale. Non mi soffermo qui sulle caratteristiche del genere della commedia ma vorrei ricordare, scomodando un classico, che per Dante la commedia (così volle intitolare il suo poema) era superiore alla tragedia perché poteva contenere il tragico mentre non succede il contrario. Torniamo a Lakhous. Anche il suo ultimo romanzo Divorzio all'islamica a viale Marconi rientra in quei canoni e si potrebbe definire "commedia nera". Non svelerò il finale a sorpresa ma posso almeno dire che è un finale un po' sospeso, giocoso e beffardo. E poi usa un linguaggio molto comunicativo, volutamente "basso", mischiato al arlato. Christian, siciliano di Mazara del Vallo che parla perfettamente arabo, viene contattato dai servizi segreti per sgominare una pericolosa cellula terroristica che si annida nel quartiere Marconi nel centro di telefoni pubblici "Little Cairo", dove dovrà fingersi tunisino, con il nome di Issa. L'altra metà del libro è raccontata da Sofia, egiziana, bellissima, sposata all"'architetto"( un egiziano laureato e pizzettaro), che lavora di nascosto come "parrucchiera delle povere" nel suo condominio, anche per finanziare l'operazione alla sorella, vittima di una circoncisione femminile. I due si incontrano perché Issa la difende al mercato da un energumeno che aveva cominciato a insultarla perché portava il burq a. L'intarsio linguistico del romanzo è efficace (tra arabo e dialettismi siculi, riprodotti con estrema perizia filologica), e così la descrizione della colorata e multietnica popolazione migrante del quartiere (luoghi di ritrovo, mestieri prevalenti, arte della sopravvivenza). I modelli impliciti sono Sciascia e Monicelli (oltre al Flaiano citato in epigrafe). A proposito, l'autore ragala al quartiere una sua vivacissima epopea, così come, poniamo, il regista Ozpetek l'ha creata per viale Ostiense o lo scrittore Fabio Ciriachi per piazza Crati. A volte Lakhous ci permette di vedere i conflitti etnici e culturali non su un piano teorico ma per così dire dal basso, lì dove sono concretamente vissuti dalle persone e dove prendono forme imprevedibili. Ad esempio, se in Occidente ci ostiniamo a reprimere e combattere un'abitudine culturale che in sé non sarebbe neppure così radicata nei lavoratori stranieri, l'effetto è di amplificarla oltre ogni misura. Così Sofia sul velo:«Con il passare del tempo divento solidale col mio velo. È vero che all'inizio non l'ho scelto, però adesso è il simbolo della mia identità, anzi è la mia seconda pelle». Dunque evitiamo saggiamente di andare allo scontro di civiltà in modo frontale. E poi: non c'è cellula di al Qaeda o strategia bellica di "giustizia infinita" che possa resistere a un'ironia intelligente..