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Eric-Emmanuel Schmitt: la mia mente è come un giardino

Testata: AGpress.it
Data: 9 marzo 2012

Incontriamo Eric Emmanuel Schmitt a Roma in occasione della presentazione del suo ultimo libro, “La donna allo specchio” (Edizioni EO). Autore di romanzi, racconti brevi, testi teatrali, molti dei quali hanno ottenuto riconoscimenti nel mondo, ha un entusiasmo sereno, con la valigia sempre pronta nel rincorrere i tanti progetti in giro per il mondo, è generoso nel condividere i suoi pensieri sulla scrittura. 
Eric Emmanuel, hai pubblicato romanzi, racconti brevi, testi teatrali … in quale genere ti riconosci di più?
Nessuna forma in particolare perché a me piace cambiare. Mi piace avere sempre la percezione che sia la prima volta. Quando sono consapevole che è arrivato il momento di scrivere, mi fermo – magari sto scrivendo un testo teatrale – e comincio a scrivere un romanzo. Poi mi dico, “bene, lo so fare” e comincio un’altra cosa. Mi piace sentirmi in pericolo e indifeso rispetto a me stesso.
Quindi c’è un momento migliore per scrivere?
Il momento migliore per scrivere un libro è quando il libro è pronto e a volte ci vogliono anni. Il mio ultimo libro, la donna allo specchio, è stato nella mia testa per quarant’anni e solo l’anno scorso ho deciso di scriverlo. La scrittura è un processo molto faticoso e quando scrivo, scrivo dalla mattina alla sera, faccio una pausa solo per mangiare. Però la parte creativa deve essere molto veloce.
Penso che il mio cervello sia una sorta di giardino, con alberi diversi. Alcuni anziché fare frutti, fanno romanzi, altri racconti, altri ancora teatro. E io sono il giardiniere. A volte passeggiando nel giardino ne vedo uno e mi dico: “eccolo, questo è maturo”. E lo scrivo.
Durante i tempi di preparazione, hai un diario?
Avere un diario ti permette di avere uno sguardo di lucidità su quanto stai facendo. E infatti i miei diari sono momenti riflessivi che mi danno la consapevolezza di quanto sto facendo.
Tra i tuoi temi ricorre spesso l’arte. Che sia Arte intesa come pittura, scultura, scrittura o musica …
L’arte ha salvato la mia vita. Quando avevo quindici anni ero assolutamente depresso …  è abbastanza comune a quell’età, perché scopri di avere un nuovo corpo, nuovi desideri e fa paura il passaggio. È tutto così confuso e complicato e allora ero talmente depresso che pensai di togliermi la vita.
Fu Mozart a salvarmi la vita. Un giorno andai all’Opera con un insegnante per assistere alle “Nozze di Figaro”. All’inizio ero annoiato, poi arrivò la contessa Almaviva in scena: “dove sono i bei momenti di dolcezza e di piacere” e improvvisamente venni curato. Tanta bellezza era la mia riconciliazione con il mondo. E mi son detto “se tanta bellezza è nel mondo, voglio stare nel mondo”. Mozart è stato la porta di accesso alla bellezza, per capire cosa è meritevole. Davvero, mi ha salvato la musica.
Quindi quando hai deciso che saresti diventato scrittore?
Direi più tardi. Ho sempre scritto, anche quando ero adolescente perché era una sorta di sfogo. I miei genitori mi dicevano sempre “stai sempre a scrivere”! Ho scritto il mio primo racconto che avevo undici anni e la mia prima opera teatrale che ne avevo sedici. Ma avevo capito che volevo fare il musicista, o meglio, il compositore. Alla fine però ho scoperto che amo la musica molto più di quanto la musica ami me.  Non ho una grande immaginazione per la musica, mentre ce l’ho per racconti e romanzi. E quando avevo vent’anni mi son detto “ok, lo accetto, divento uno scrittore”. Ma quando cominciai a scrivere, capii che in realtà non è così semplice scrivere … cominciai a scrivere, scrivere per pubblicare il mio primo libro, avevo trent’anni.
Nei tuoi libri c’è una ricerca della verità che si esprime nell’incontro tra due persone, il risultato è  un piccolo miracolo.
Non voglio scrivere di cose deprimenti.  Voglio scrivere di gioia, del desiderio di vivere e dell’amore.  Molti dei miei libri sono  basati su storie tragiche come in Oscar e la dama in rosa, dove c’è un bambino malato di cancro, o Monsieur Ibrhaim e i fiori del Corano, dove c’è un bambino abbandonato dai genitori .. molto spesso il punto di partenza è serio e drammatico, ma l’obiettivo è eliminare l’elemento patetico e la tristezza. Voglio solo curare i miei eroi dalla parte brutta e drammatica della vita. Sì, direi che i miei personaggi vengono curati. Tutti i miei libri sono sulla cura. E sulla necessità di godere della vita come si presenta, anche se la vita è corta, fragile, piena di disastri, anche se c’è morte.. dobbiamo amare la vita e goderne. Non voglio amare una vita ideale, che viene dall’immaginazione, voglio essere nella vita reale.
E il segreto è incontrare persone, come fossero angeli.
Sì, questo è il tema principale dei miei lavori. So per esperienza che gli incontri possono cambiare la tua vita. Un nuovo incontro è come una porta o una finestra che ti mostra un nuovo mondo. La vita è sempre più ricca e preziosa di quanto pensiamo. Penso che ciascuno di noi possa essere l’angelo di qualcun altro.
In che modo si raggiunge la leggerezza?
Alcuni hanno bisogno del silenzio, altri hanno bisogno di parole. Dipende. Alcuni hanno bisogno di parole perché non le hanno in loro per poterle esprimere, altri hanno bisogno del silenzio perché intorno hanno fin troppa confusione che le parole sono senza significato. Dobbiamo combattere per essere leggeri. Nei miei libri non ci sono vittime, tutti i miei personaggi sono sufficientemente forti per combattere e farsi curare. E nella vita mi piace far la stessa cosa, non voglio essere vittima di altri, di me stesso o vittima dei miei pensieri. E questo è un esercizio quotidiano.
È tutta una questione di prospettiva.
Ottimismo e pessimismo partono dallo stesso presupposto. Le cose sono sbagliate. C’è tanto dolore nel mondo.  Il pessimista dice “ok è tutto brutto, non cambierò mia nulla e accetto il fatto che le cose siano sbagliate e brutte”. L’ottimista invece “ok è tutto brutto, ma voglio cambiarlo perché non mi piace che sia brutto”, a volte riesci a cambiare le cose nel mondo reale, altre volte no e quando non riesci a cambiare il mondo, puoi cambiare il modo con cui guardi la situazione, a pensare il mondo. Puoi cambiare qualcosa nella tua mente, non nel mondo. Per esempio la morte, alcuni sono così ossessionati dall’idea di dover morire che non riescono a vivere nel presente. Ma se dici “ok morte, ti riconosco come regalo tanto quanto la vita”, riesci a condividere meglio il presente. Devi cambiare la tua mente.
Nel tuo ultimo libro, la donna allo specchio, ci sono tre donne che vivono in epoche diverse, hanno lo stesso nome, in fondo uno stesso obiettivo...
Sono tre donne che rompono lo specchio, nel senso di rompere il destino perché il loro destino è stato preparato, e condizionato e deciso da altri.  Quando nasciamo c’è un destino per ciascuno, ma ciascuno può dire “io non voglio vivere questo destino, ma il mio”. E allora cercano la loro libertà e l’espressione della propria individualità come affermazione del proprio destino.
E per far questo, per raggiungere la propria espressione, bisogna rompere le regole.
Sì, dobbiamo rompere molti tabù e a volte è molto difficile. Le tre donne del mio libro non sono ribelli per carattere, ma per necessità. Sono tre donne adorabili, vicine al prossimo, amabili, dolci, ma sono forzate a diventare ribelli di fronte alla chiusura della società. Devono combattere. Anche quando non conoscono la loro verità, hanno la volontà di volerla scoprire. Perché importante è il percorso per arrivare a scoprire la verità, non il risultato. Perché la vita è un percorso, ed è il percorso che dobbiamo scegliere.