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Scimitarre e amori nel Mediterraneo

Autore: Laura Lilli
Testata: La Repubblica – Almanacco
Data: 10 maggio 2008

«Padri di noi, ki stai in cyelo, noi voleri ki nomi di ti star saluti…» Così cominciava il Padre Nostro nella lingua franca del Mediterraneo intorno al 1540, stando almeno a quanto scrive Massimo Carlotto nel suo più recente romanzo Cristiani di Allah. Il quale rivela come i pirati dell’epoca, terrore delle coste cristiane per lo più fossero cristiani rinnegati, divenuti maomettani e corsari per interesse ma anche come scelta di libertà

Se questi e il loro mondo, tuttavia, sono i protagonisti ufficiali del romanzo, ce n’è uno non ufficiale. È il Mediterraneo. Che domina queste pagine, dimostrando di essere diventato una nazione a sé: compatta benché liquida e multiculturale, che addirittura aveva una propria lingua franca, parlata dai diversi cristiani e maomettani che ne abitavano le rive e si combattevano, facevano affari insieme, si prendevano schiavi a vicenda, si depredavano. Il “mare nostrum” sembra essersi affrancato dal grande impero di cui era stato un’estensione e un mezzo di espansione, divenendo il centro di uno strano e contraddittorio melting pot che mescolava albanesi e genovesi, magrebini e disertori veneziani, turchi e lanzichenecchi, spagnoli, corsari maomettani e sardi in fuga dall'Inquisizione.

Un affascinante romanzo storico e d’avventura, un po’ Mille e una notte e molto Salgari. Barbe, turbanti, scimitarre, un amore tutto maschile: truce, tenero, disperato. Un racconto mozzafiato: ferocia, assedi, razzie, sangue, teste che rotolano come palle da bowling, bandiere corsare, vessilli e navi cristiane. E i rais (capitani), il diwan (organo legislativo), i bagni in cui si tenevano ammucchiati gli schiavi cristiani, il vino che scorreva a fiumi in taverne dove si alternavano sussurri e risse. Un racconto – ancora – probabilmente frutto di accurate ricerche storiche, tanto più interessante oggi che il contatto col mondo arabo si è fato così ravvicinato.