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Distopia delle birrette

Autore: Dario De Marco
Testata: dariodemarco.wordpress.com
Data: 28 aprile 2012

Ed ecco a voi un’altra non-recensione, dopo quella dello scrittore morto, e come in quel caso, lo spunto viene dai fatti di Palermo. Quindi recensirli proprio no, non si puote, che qui è tutto uno smarchettarsi a vicenda e se c’è una cosa che non mi attira, nel magico mondo delle lettere, è proprio questa. Però, parlarne in tono informale, perché no, in fondo Rossari e Morici non sono miei amici, non li conoscevo neanche, prima, e in realtà nel momento in cui scrivo non li conosco ancora; né sono della mia casa editrice, ma tutti e due di e/o; e poi comunque, l’importante è dichiararlo prima, il potenziale conflitto, e io l’ho fatto all’inizio.

Premesso il disclaimer, devo dire però che fare una lettera semiaperta come nel caso precedente, non me la sentivo. Ché Morici è personaggio che un poco di soggezione te la mette: viaggiatore incessante (“L’uomo d’argento è stato scritto in almeno trenta paesi diversi”, recita il risvolto di copertina), e low cost, però non nel senso che preferisce Transavia ad Alitalia come tutti noi, ma nell’interpretazione più estrema e zozzona. Il che ha diretta influenza nel libro, ambientazione e personaggi. Un tipo poi che prende la sua opera a pistolettate, o che la smembra con la precisione dell’operaio specializzato. Magari si offende. Speriamo di no.

Anche perché poi, che dire de L’uomo d’argento. Raccontare la trama – come ormai si riducono a fare molti pezzi di pagine culturali, i pochi che non sono interviste s’intende – mi sembra uno sgarbo al lettore: metti che uno poi se lo compra e se lo legge davvero, gli levi lo sfizio. E d’altra parte, descrivere lo sfondo, il contesto, mi pare un insulto all’autore: come dire, ora lo spiego io, per davvero, e anche con meno parole. Come spiegare tra l’altro, se non avendola vissuta o immaginata, che è lo stesso, una realtà fatta di sballo continuo, di ottundimento fisico e cerebrale a mezzo di sesso droghe e alcol al posto del rock’n'roll (programma di una serata del protagonista: una birra, una canna, un bicchiere di vino, una canna, una birra, una canna…).

Ma lo sballo, e qui sta il bello, è non solo la norma, ma Norma, nel mondo sognato da Morici. Infatti in questa città post qualcosa, enclave felice in un mondo ancora traumatizzato, divertirsi non solo è giusto, ma obbligatorio. E niente, non si capisce una mazza, mi rendo conto, e menomale. Vabbe’, citerò solo, e mai avrei pensato di poterlo fare, Chuck Palahniuk: il quale nei tredici consigli di scrittura (ma non erano sempre dieci? troppa grazia), spesso prolissi e a volte contraddittori, ne mette uno lapidario. Scrivi il libro che vorresti leggere. Ecco, L’uomo d’argento è un libro che vorrei aver scritto.

Non so, invece, se è il libro dentro il quale mi piacerebbe vivere, con tutto che diciamo, marijuana e birrette e cazzeggio tutto il dì, non so se rendo. Però poi vengono fuori un po’ di cose inquietanti, tipo che dal lavoro in un modo o nell’altro proprio prescindere non si può, e poi pure che insomma, tutta sta felicità obbligatoria, non sarà un po’ artefatta. Insomma non mi ci trasferirei, a meno che, aspettate un attimo, non è che ci siamo già? Il problema dei libri così, della fantascienza di prossimità, è proprio questo: è tutto talmente assurdo, ma talmente probabile che ti viene paura che possa arrivare da un momento all’altro, che ti giri e zac, eccoci qua.

D’altra parte, l’aveva già detto Neil Postman in Divertirsi da morire: tutti a farcela addosso temendo l’avverarsi della distopia dittatoriale minacciata da Orwell, e invece quello che si sta avverando è il rincoglionimento soft, felice e consenziente, profetizzato da… oh come si chiamava quello là… dài, quello che si calava pure la mescalina… Vabbuo’ ja’, mo’ basta con sti discorsi intellettuali, passa sta canna.