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Malvagi da romanzo

Autore: Maria Serena Palieri
Testata: L'Unità
Data: 1 gennaio 1970

«UNSOLDATORISPONDEDISESTESSOSOLOAGLIORDINI. RICEVERLIÈILSUOCOMPITOEILSUOONORE.UNORDINENONVASOLOESEGUITO, VACREATODALNIENTE. Spesso è sommario e spetta al soldato inventare i mezzi per eseguirlo. Non mi discolpo dicendo di essermi trovato costretto a eseguire degli ordini. Noi quegli ordini li abbiamo eseguiti con l'efficienza dell'entusiasmo. La nostra colpa è più imperdonabile: è la sconfitta»: l'ex Ss ricercato come criminale di guerra, che lavora come postino sotto falso nome a Vienna – è il protagonista dell'ultimolibro di Erri De Luca uscito per Feltrinelli - dà questa personale versione della giustificazione che i gerarchi tedeschi opposero al Tribunale di Norimberga. Della misura di un racconto lungo, Il torto del soldato è un testo che assembla svariati tasselli: il nucleo è la vicenda del nazista scappato in quella specie di Tirolo andino in cui era riparato anche Priebke, poi, dopo la cattura di Eichmann in Argentina, tornato in Austria per confondersi meglio tra i suoi simili, e che da un cinquantennio vive sentendosi sul collo il fiato dei cacciatori del Centro Wiesenthal; intorno, come le due valve di una conchiglia, lo racchiudono due «Io» che narrano: il primo è quello di De Luca stesso, che qui si racconta rocciatore e studioso dell'yiddish, la lingua delle vittime da cui nasce la parola «Shoah», e che incontra l'anziana Ss in un rifugio sulle Dolomiti; il secondo è quello della donna che da un quarantennio vive con questo padre che sa essere un criminale ma di cui non conosce il vero nome. E, alla fine, il destino che l'uomo teme si compirà, ma come una profezia che si autoavvera… Seppure con qualche civetteria e più d'una venatura dannunziana, il racconto di De Luca è un gioiellino: è ben oliato il meccanismo che porta la follia antisemita della vecchia Ss a essere messa in trappola dallo stesso sapere delle sue vittime, la Kabbalà. L'OLOCAUSTO Il nazista di De Luca è l'ultima di una serie di figure del male che la narrativa di questi anni ci va regalando. Il primo grande forziere è naturalmente la Shoah. Digerita da un ventennio (dai tempi di Schindler'slist) l'idea che dopo di essa non solo si possa fare poesia, contrariamente alla tesi di Adorno (almeno nella sua vulgata), ma digerita addirittura quella che di essa si possa fare fiction, la creazione narrativa sull'Olocausto si è sviluppata su due rami: da un lato romanzi e vero-finti memoriali di e sulle vittime; dall'altro il viaggio dentro il cuore di tenebra dei colpevoli. Tutto sommato è questo secondo il filone meno scivoloso: trasformare in fiaba sentimentale la Shoah è stato non solo un peccato mortale, ma anche un'impresa che ha visto impegnati molti millantatori. Sul versante colpevoli, si comincia con Lebenevole di Jonathan Littell, il quarantenne americano, naturalizzato francese, che si affacciò alla Buchmesse nel 2006 con la sua faccia da adolescente perverso e con le quasi mille pagine dove protagonista è un uomo la cui testa durante il giorno all'improvviso si mette a rombare «sordamente come un forno crematorio». Che cosa ne sa Maximilien Aue, direttore di una fabbrica di merletti nel nord della Francia, di quel rumore? Nei forni crematori lui, da Ss, ci ha lavorato. È arrivato dallo stesso Israele poi Bravepersone, (Ponte alle Grazie) il romanzo in cui il trentaseienne Nir Baram esplora la «banalità del Male» che alligna anteguerra nei due totalitarismi, a Berlino e a Leningrado. Mentre Hans Keilson, ebreo berlinese, partigiano, psicoanalista, aveva le carte in regola per cimentarsi con un'ipotesi narrativa scioccante, quella alla base della Morte dell'avversario, il libro scritto durante la clandestinità in Olanda e pubblicato nel 1947 in Germania (Keilson, nato nel 1909, è morto pluricentenario l'anno scorso) da noi tradotto in recentissime stagioni da Mondadori: qual è il legame che corre tra un giovane ebreo e l'uomo che pianifica di sterminare il suo popolo? C'è una simbiosi da esplorare? Ma non c'è solo la Shoah. Alberto Garlini nella Leggedell'odio (Einaudi Stile Libero) si è calato nei panni di un terrorista neofascista per raccontarci un pezzo di storia nostra. E qui siamo in un'area particolarmente plumbea e oscena, perché neofascismo significa stragi. Garlini ce ne restituisce la sanguinaria insensatezza, con quelle parole d'ordine: «L'utopia di un fascismo immenso e rosso». VIOLENZAPUBBLICAEPRIVATA In area terrorismo si è mosso, esordiente a settant'anni, Giorgio Manacorda con Il corridoio di legno (Voland). Mentre, passando in altri territori del male, ventinovenne ha debuttato Paolo Sortino con Elisabeth (Einaudi), viaggio nel bunker in cui l'austriaco Josef Fritzl ha chiuso per ventiquattro anni la figlia, facendole mettere al mondo sette bambini: 215 pagine dentro una tragedia greca senza catarsi. Ed è la greca Ioanna Karistiani in RitornoaDelfi (e/o) a farci immedesimare col ruolo disturbante di Vivì, madre di uno stupratore seriale e serial killer. Ora, l'interrogativo che questo affollarsi di Figure del Male in libreria ci pone è questo: è la mercantilizzazione della narrativa a spingere autori ed editori a colpi di teatro, ribaltamenti di prospettiva, efferatezze particolarmente vendibili nelle grandi fiere del libro? Oppure scrittori e scrittrici duellano col nichilismo? E immaginano calandosi in queste figure di recuperare quella materia, l'etica con i suoi conflitti, di cui Yehoshua lamenta la scomparsa nella narrativa contemporanea? È aperto il dibattito…