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Da Napoli a Verona: se il serial killer è soltanto presunto

Autore: Francesco Durante
Testata: Il Corriere del Mezzogiorno
Data: 1 luglio 2012

La mattina dopo un suo concerto, il corpo senza vita del famoso cantante napoletano Gennaro Mangiavento, in arte Jerry Vialdi, viene ritrovato raccolto in posizione fetale nella rete di una porta dello stadio San Paolo. In bocca ha un ciuffo d'erba. Una settimana dopo, un altro cadavere, quello di Julia Marin, antica fiamma di Vialdi, spunta davanti a una porta del campo da gioco del Bentegodi, a Verona. Anche nella bocca di Julia c'è dell'erba. Intanto, in una baracca di Bagnoli si trova pure il corpo senza vita del guardiano alcolizzato che aveva scoperto la salma di Vialdi. Due commissariati napoletani e uno veronese si mettono al lavoro. Il commissario Malanò di Fuorigrotta è convinto di trovarsi davanti alle imprese di un serial killer; seri dubbi in proposito ha il suo collega Martusciello di Pozzuoli, coadiuvato dall'ispettore Liguori e dalla sovrintendente Blanca Occhiuzzi (riecco dunque la ben assortita squadra protagonista del precedente: Blanca, del 2009).

Parte da qui Tre, numero imperfetto, il nuovo romanzo di Patrizia Rinaldi, e posso dirvi è che l'indagine sarà complicata, perché assai complicato è trovare un movente. Jerry Vialdi era quello che era: aveva avuto una schiera di amanti, faceva uso di cocaina, aveva avuto una carriera mutevole e accidentata che, tra l'altro, l'aveva portato a cambiare spesso profilo artistico, e a farsi, da «ex cantante di matrimoni, poi ex cantante neomelodico, poi ex cantante di tradizione e folclore, poi ex cantante Ariston, poi ex attore di musical, poi finalmente cantante sensibile di entusiasmi di critica colta», come con ragionevole sarcasmo scrive Rinaldi, sciorinando un percorso che il lettore, volendo, potrà applicare a più di qualche figura reale del mondo musicale nostrano.

Che altro? Tre, numero imperfetto — come si conviene a un romanzo di questo tipo — dovrete scoprirlo leggendolo. Sapendo, peraltro, che proprio la non vedente Blanca sarà la persona capace di gettare lo sguardo più penetrante, anzi: risolutivo dentro questa nerissima vicenda.
Aggiungo che questo notevole personaggio, il cui handicap in apparenza così definitivo ha invece potenziato fino a livelli di eccezionale acutezza gli altri sensi, ha acquisito contorni ancor più interessanti (tra i quali mi piace ricordare una particolarissima forma di sensualità). Nel nuovo romanzo, peraltro, l'elemento su cui il lavoro dell'autrice si concentra con maggiore intensità è quello della scrittura. Rinaldi sceglie frasi inattese, costruzioni particolari, sorprende il lettore per la brillantezza delle soluzioni, ovvero per l'arditezza delle soluzioni retoriche. Ha una particolarissima misura dell'espressionismo dialettale: ammette il colorito vernacolare, a volte non solo la singola parola ma propria l'intera frase e più ancora una schietta costruzione napoletana, ma sempre entro un italiano ineccepibile, che applica indifferentemente a tutti i personaggi. Si potrà obiettare che, così facendo, ne risenta un certo effetto di «realtà», ma si dovrà osservare che, al contrario, questo è un modo efficace di evitare stucchevoli bamboleggiamenti mimetici, di quelli che ti fanno correre il rischio che mentre le forze dell'ordine sono al lavoro qualcuno possa intonare da un momento all'altro «Tuppe tuppe mariscià». Ci vuole gusto e rigore per guardarsi da tale insidia; e serve un certo orecchio, una certa musicalità per lasciarsi andare, anche affrontando una trama gialla, a forme di indeterminatezza vagamente poetica come quelle che spesso occhieggiano dalle pagine della Rinaldi. Un esempio a caso: «Blanca spezzò tre foglie di menta nel tè e poi si annusò le dita. Il piacere raggiunse la bocca. La morte le poteva anche procurare una rabbia di vita e di nonostante».