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Caccia all'ebreo: la storia oscura

Autore: Maria Serena Palieri
Testata: L'Unità
Data: 30 settembre 2012

«La caccia all'ebreo era cominciata di colpo in un'alba di pioggia, e prima del tramonto il vecchio quartiere ebraico era ridotto a uno scheletro spogliato della sua carne. Sembrava la piazza del paese dopo il mercato quando per terra restano solo cassette sventrate e cartacce svolazzanti. Anche quelli che si erano potuti salvare svolazzavano qua e là impazziti in cerca di un rifugio » racconta La notte dell'oblìo, il nuovo romanzo di Lia Levi (e/o, pp. 193, euro 17). Tra quanti, all'indomani del rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, graziati lì per lì dalla sorte, cercano un riparo, c'è la famiglia Vivanti, composta da Giacomo proprietario di un negozio in ghetto, la moglie Elsa, un nome che è un omaggio a Elsa Morante, e le bambine Milena e Dora, due nomi che ci riportano con la mente a Kafka. Scampati ai tedeschi, accolti nella canonica di un prete amico di famiglia, don Gioacchino, i Vivanti soccomberanno alla delazione di un italiano: Giacomo verrà arrestato nei mesi successivi, in una delle sue visite a Roma per ritirare i guadagni del negozio ancora aperto e gestito dal commesso Italo Fanelli. Morto Giacomo nel lager, a guerra finita Elsa scoprirà che il commesso si è impadronito dell'esercizio,madeciderà di non denunciarlo convinta di regalare così un po' di tranquillità alle figlie; però il destino non ubbidirà al silenzio e un'altra, anche più terribile, verità su quanto è successo tra proprietario e commesso presenterà il suo conto… ILGIORNALE«SHALOM» Lia Levi, fondatrice del giornale di cultura ebraica Shalom, è autrice, oltre che di romanzi, come questo, per adulti, di molti fortunati libri per ragazzi. Racconta che il germoglio della Nottedell'oblìoè una vicenda vera: «È una storia che mi è stata raccontata in ambito familiare. Ero rimasta scandalizzata: perché la donna non ha denunciato quell'uomo? chiedevo. E la risposta era "ha due figlie e vuole che siano serene"», spiega. «Il tarlo narrativo lavorava, ma fare di una storia vera una narrazione cosa significa? Che non puoi appigliarti al tuo giudizio indignato, devi cercare di capire tutti i personaggi». E il più incomprensibile, agli occhi di Lia Levi, chi era, il delatore? «Quello era un idiota». La madre? «Sì, lei. In ogni famiglia ebraica convivono due spinte: a dover dire, ai figli, ma anche a tacere per dare una visione più felice della vita. Ma dobbiamo accettare che non ci sia giustizia? Èstata lei il mistero che ho dovuto scalare». E alla fine il mistero si è sciolto? «Non fino in fondo. Sennò non avrei scritto il libro», replica. Èaromanzopubblicatoche -conunmovimento a ritroso - «storie e storie», a decine, le vengono confidate, da chi ha vissuto vicende analoghe. Perché La notte dell'oblìo è un romanzo che con bella levità, e affollato com'è lo stile di Lia Levi di un corteggio di personaggi resi vivi anche con una sola pennellata, affronta un tema pesante come il piombo: il silenzio che nell'Italia del dopoguerra calò sulle persecuzioni e lo sterminio degli ebrei. Nel soggiorno della casa trasteverina, sul tavolo di cristallo, ci sono due libri, accanto ai regali dei piccoli delle elementari: una delle attività che Lia Levi svolge con tenacia è quella degli incontri nelle scuole, e qui testimonianza ne sono il piattino dipinto a fiorellini e l'imprevedibile bellissimo palazzo di cartone che riproduce il condominio del Segreto della casa sul cortile. Dei due libri uno è un romanzo, Lastoria di Elsa Morante, l'altro un saggio, Caino a Roma dello storico Amedeo Osti Guerrazzi. Nel 1974 Morante così descriveva i «giudii» che nel 1945, scampati ai campi, giravano per Roma: «Presto essi impararono che nessuno voleva ascoltare i loro racconti… Difatti i racconti dei giudii non somigliavano a quelli dei capitani di nave, o di Ulisse l'eroe di ritorno alla sua reggia. Erano figure spettrali come i numeri negativi, al di sotto di ogni veduta naturale, e impossibili perfino alla comune simpatia. La gente voleva rimuoverli dalle proprie giornate come dalle famiglie normali si rimuove la presenza dei pazzi, o dei morti». Osti Guerrazzi, a propria volta, carte processuali alla mano (i processi prima dell'amnistia di Togliatti, guardasigilli nel 1947), indaga tra i fascisti, le bande criminali, ma anche i singoli cittadini, che avevano consegnato quei «giudii» ai tedeschi dopo il 16 ottobre '43, come succede al Giacomo Vivanti del romanzo. La tariffa era 5.000 lire per ogni maschio, 3.000 per una donna, 1.000 per un bambino, ma si poteva guadagnare di più impadronendosi di case, negozi, arredi, gioielli. Ed eccoci in questo buco nero, in questo silenzio. Lia Levi calcola che la rimozione sul versante italiano della Shoah, da noi, sia durata fino al 1958, anno in cui dopo l'iniziale rifiuto dell'editor Natalia Ginzburg, Einaudi pubblica Se questo è un uomodi Primo Levi. Il silenzio ha due facce: i «salvati » non raccontano la propria vicenda (non c'è chi li ascolti…), e insieme accollando tutto ai soli tedeschi, ed enfatizzando l'Italia della Resistenza, si stempera l'apporto degli italiani allo sterminio. Ora, questo problema del silenzio si è posto in tutti i paesi interessati dalla Shoah. In Annidipiombo di Margarethe von Trotta le due sorelle nate nel dopoguerra, Juliane e Marianne, scoprono quasi adolescenti gli orrori del nazismo, guardando dei filmati girati nei lager, e da quella visione escono sconvolte. «Ma la Germania ovest ha fatto i conti subito con la sua realtà, visto che già nel 1952, nonostante la miseria di quegli anni, cominciava a onorare i doveri di riparazione. Nella redazione di Shalom eravamo abituati a vedere arrivare giornalisti tedeschi nati dopo la guerra che, piangendo, ci dicevano di avere visto quei documentari nelle scuole e si chiedevano come avevano fatto i loro genitori a essere complici del nazismo ». I tedeschi dell'Est invece si auto assolsero, assimilandosi all'Urss. LOSHOCKDELPROCESSOEICHMANN In Israele quello dell'impossibilità di raccontare, per i reduci dai campi, è un tema sconvolgente sul quale tra i primi ha scritto Amos Oz: «Il processo Eichmann fu uno shock perché, chiamati a testimoniare, finalmente i reduci narrarono le loro storie» ricorda Lia Levi. Eccoci all'Italia: «Noi abbiamo saltato due generazioni. Fino agli anni Novanta in Italia non c'era un solo libro per ragazzi che affrontasse il tema. In senso politico è opinione prevalente che a smuovere le acque sia stata la caduta del Muro, con la fine dei due blocchi e l'apertura degli archivi. Personalmente so che mi sentivo figlia di un male minore e solo nel '94 ho avuto la spinta a pubblicare il mio primo libro (che racconta gli anni di guerra trascorsi in un convento cattolico, ndr). Perché il Savoia aveva negato ci fossero state le leggi razziali del '38…». Tra fine guerra e l'inizio dell'agnizione c'è quel quindicennio in cui i neofascisti non nascondevano l'antisemitismo, anzi, compivano a Roma spedizioni in ghetto. Lì, però, trovavano cittadini ormai decisi a difendersi con le armi. È un dopoguerra che visto da qui appare come una palude, con i quadri dell'amministrazione pubblica - piccoli grandi responsabili di tanti mali e sevizie - trascorsi identici dal fascismo alla Repubblica. Perciò, dice Lia Levi, il Giorno della Memoria, istituito nel 2001, è tutt'altro che un appuntamento retorico. Di memoria ne abbiamo insufficiente: «Una società non può dirsi democratica se non ha fatto i conti con se stessa e il proprio passato - osserva -. Dicono che gli ebrei hanno la mania di raccontare. Ma non è vero, raccontano su richiesta. Tant'è che quando nessuno voleva ascoltare, stavano zitti. Il fatto è che la Shoah è, per il mondo, una ferita aperta, una ferita che non si è mai richiusa».