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Trame assordanti di un'infanzia tedesca

Autore: Luigi Forte
Testata: Tuttolibri / La Stampa
Data: 10 novembre 2012

È come un minuscolo, delizioso frammento staccatosi dal suo fluviale romanzo Trama d'infanzia il racconto postumo di Christa Wolf, August, dedicato al marito Gerhard, che l'editore e/o pubblica nella squisita versione di Anita Raja. Un piccolo grumo di memoria che la scrittrice ha riplasmato nel luglio dell'anno scorso pochi mesi prima di morire. Con tocco quasi elegiaco, senza la tensioni ideologiche ed esistenziali di quell'opera autobiografica del 1976 nella quale aveva ritratto se stessa e gli anni del crollo del nazismo attraverso il personaggio del giovane Johnny Jordan. Nelle ultime pagine del libro c'erano già con lei, in sanatorio, il piccolo August e Hannelore rapita dalla tisi a soli cinque anni. Figure marginali allora, sagome appena sbozzate in un'epoca di deliri e follie, che ora riemergono nelle pagine terse di quest'ultima prosa, icone di una lontana identità che la parola sa riannodare al presente.

«Il passato non è morto; non è nemmeno passato» asseriva la Wolf ribadendo un'idea cara all'amico Gunther Grass secondo cui lo scrittore è qualcuno che scrive contro il tempo. Dunque contro l'oblio, lasciando aperte ferite, coltivando dubbio, rammentando perdite.

Nella sua apparente semplicità questo racconto sintetizza il progetto di una vita: capire se stessi, legare inizio e fine, spezzare il silenzio assordante degli anni. Il bambino August è ora un uomo alle soglie della pensione: ha superato la malattia, è cresciuto, si è sposato con Trude ed è già vedovo da due anni. Fa l'autista e sta appunto riportando in pullman da Praga a Berlino una comitiva di turisti. Costeggia l'Elba, si ferma a Dresda, lambisce lo Spreewald. Paesaggi dell'Est, fotogrammi cari alla Wolf che rispolvera il viaggio come cifra stilistica, fusione di passato a presente con suggestive dissolvenze. Seduto al volante, August vaga col pensiero alla ricerca di se stesso, di quel ragazzino della Prussia orientale, orfano di padre e madre, che alla fine della guerra arriva in un castello del Mecleburgo trasformato in sanatorio dove rimane una decina di mesi. I pazienti lo chiamano "Rocca dei tarli", un'immagine fantasiosa per descrivere il morbo che corrode i loro polmoni. Quel bambino di appena otto anni riemerge così da una lontananza segnata dagli stenti, ma in cui la vita torna a fluire con forza in un intenso turbinio di ricordi, fra gioie e lutti, nell'amore per Lilo che ha il doppio degli anni di August e diventa la sua "principessa". Lo inizia alla scrittura, al canto, alle fiabe, gli soffia nel cuore una gioia profonda. Come quella che gli ha dato, più tardi, la moglie Trude. Due immagini che si saldano nell'arco degli anni, in un'emozione inesprimibile. Forse un tocco di felicità che August non sa dire, ma che la Wolf sillaba con tanta tenerezza prima del congedo.