Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Storia del nuovo cognome - Elena Ferrante

Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: SoloLibri.net
Data: 11 novembre 2012

Leggere colei che si fa chiamare Elena Ferrante vuol dire entrare nel mondo della sua poetica e non riuscire più a distaccarsene, tanto che Lenù, Lila. Nino, Stefano e tutti i numerosissimi comprimari del rione e non solo diventano nostri amici, forse quasi parenti. E’ l’impressione che ho avuto leggendo il secondo volume della saga (quanto autobiografica?) che la scrittrice fantasma ci viene raccontando.

La lunghissima narrazione (470 pagine) di Storia del nuovo cognome (E/O, 2012) riprende tutti i fili e i temi interrotti nella prima parte, L’amica geniale, per incontrare le due amiche ormai sedicenni: mentre Lenù continua faticosamente i suoi studi al liceo classico, misurandosi con il greco, il latino e un’attualità di cui non sa nulla, tanto che la sua insegnante di lettere, la Galiani, le presta i quotidiani che lei non può permettersi, per consentirle di aprire la sua mente ai grandi temi politici e sociali degli anni Sessanta, al contrario Lila accetta un matrimonio ricco con Stefano, proprietario di salumerie e calzolerie, che la desidera e vuole farle fare la bella vita della signora.

Lila è bella, vistosa, elegante, intelligentissima, capricciosa, violenta, determinata e nei confronti della più bruttina ed impacciata amica Elena/Lenù svolge un ruolo di continua amicizia che diventa rivalità, affetto che si trasforma in invidia, attenzione che sfuma in disprezzo, in un’altalena di accettazione e ripulsa che è un po’ la cifra di tutta la storia. L’autrice mette nel rapporto fra queste due giovani donne tutta la gamma dei sentimenti, dei confronti, delle rivalse, delle sconfitte. La vincente Lila, mai innamorata del marito ma piena di denaro che lui le elargisce, dispensa regali a tutto il vicinato, comprando l’affetto di tutti, che, al momento buono, l’abbandoneranno al suo destino, che lei stessa con coerenza e determinazione accetta.

Elena, che cerca di seguire l’amica nelle sue follie e di assecondarne la scelte dissennate, costruisce invece con pacatezza, senso dei propri limiti e onestà un futuro più solido. Dopo la brillante maturità vince il concorso per la Normale di Pisa e imprevedibilmente si trasferisce in quel prestigioso ateneo abbandonando la miseria della sua casa, della sua lingua, della sua origine. Con la sua diligente e impegnata capacità di studio riesce a laurearsi in lettere classiche, mentre ha cominciato un rapporto poco passionale ma molto intenso con il collega ligure che la introduce nel mondo letterario milanese: con sua grande sorpresa un brogliaccio in cui di getto aveva raccontato le sue difficili esperienze adolescenziali diventano un romanzo edito da una grande casa editrice. Lenù è ormai Elena Greco, ha cambiato pettinatura e montatura di occhiali, è bionda e piacente, parla un perfetto italiano privo di accenti dialettali e, tornata a casa, ricerca Lila da cui per anni si è tenuta lontana. Ma Lila è fuggita: troppe tempeste si sono abbattute sulla sua ancor giovane vita e il loro incontro è uno dei momenti più belli ed intensi dell’intero romanzo.

Che dire ancora di questo racconto che non si vorrebbe mai finire? C’è cultura, attenzione alla formazione, alla scuola, allo studio come veri strumenti di promozione sociale: non a caso i maestri/insegnanti/professori svolgono un ruolo importante e nodale nel romanzo. Ma ci sono anche ragione e sentimento, sessualità e frigidità, maternità negata ma desiderata, rapporti familiari insani, violenze terribili, miseria e riscatto, follia e lusso, abbandoni e ritrovamenti, tutto insieme in una densità di scrittura che non ha eguali nella narrativa italiana contemporanea. La storia del nostro paese, con il rione napoletano preso come microcosmo metaforico, ci viene restituita nelle sue fasi cruciali: la ricostruzione, gli anni sessanta, le prime villeggiature al mare, la prima libertà sessuale, la voglia di comprare, di viaggiare, di esibire scarpe alla moda, di parlare di cose importanti, da “intellettuali” (siamo infatti alla vigilia del ’68). Eppure la scrittura della Ferrante emerge soprattutto nei ritratti delle donne che la voce narrante, Elena, descrive con rara capacità di analisi:

“Le madri di famiglia del rione vecchio erano nervose, erano acquiescenti. …Si trascinavano magrissime, con gli occhi e le guance infossate , o con sederi larghi, caviglie gonfie, petti pesanti, le borse della spesa , i bambini piccoli che le tenevano per le gambe…. E Dio santo, avevano dieci, al massimo vent’anni più di me. Tuttavia parevano aver perso i connotati femminili a cui noi ragazze tenevamo tanto e che evidenziavamo con gli abiti, col trucco...”
Da quel modello le nostre protagoniste vogliono fuggire, ma la scorciatoia presa da Lila, che pur intelligentissima e sensibile lascia gli studi per un matrimonio danaroso, la porterà alla rovina; al contrario la costanza di Elena, la sua scarsa capacità competitiva, il suo voler rimanere nell’ombra pur rimanendo fedele ai propri impegni, forse rinunciando a quello che crede amore, le daranno ragione. Ma la storia non è finita.