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"Storia del nuovo cognome"

Autore: Donatella Migliaccio
Testata: Donatella Migliaccio
Data: 22 novembre 2012

Quando ho visto il libro in libreria mi si sono inumiditi gli occhi e, da che ne sono entrata in possesso, mi ha corteggiato dal mio comodino, angolo libri di prossima lettura. Poi il giorno è arrivato, una sera l’ho preso sotto braccio e ce ne siamo andati per conto nostro. Lungo la strada ho ritrovato Lila e Lenù, la prima sposata a sedici anni, l’altra come lasciata indietro, a studiare, Lila nella casa nuova nel rione nuovo, Lenù nella casa vecchia dei suoi genitori nel rione vecchio, ancora Lila che fa la signora e Lenù che non può comprare neanche un giornale. Al centro tra loro, il legame che le unisce: forte, totalizzante, frustrante, tenero, crudele. Le due amiche continuano la loro vita, due facce della stessa medaglia. Lila si è sposata giovanissima ma non vuole finire come le donne del rione: a venti anni già sfiancate dai figli e dalla vita, che si trascinano per scale di palazzi fatiscenti con le buste della spesa, tutto il giorno a sopperire ai bisogni della famiglia e annientando loro stesse. Lila ha venduto l’unica cosa che aveva per tirarsi fuori dalla miseria, la bellezza, lotta contro sé stessa e il marito per affermarsi, provocandolo con la sua strafottenza per ogni cosa, continua a studiare, o per meglio dire a inseguire lo studio, ad andare avanti, come avrebbe voluto e non ha potuto, attraverso Lenù, che continua il liceo e che vorrebbe a sua volta dimostrare alla sua amica che, anche se non ha bellezza da vendere, e il suo fidanzato non è ricco come suo marito, anche lei può diventare una signora: Lila in salumeria, lei alla pompa di benzina. Lei come tutte le altre ragazze della sua età, che si guadagnano il pane e che contano i giorni che le separano dal diventare mogli e madri. Invece Lenù non rinuncia, riesce a intravedere che fuori dal rione ha una sua dimensione, non più legata a Lina, attraverso la scuola lei può ottenere qualcosa che le altre non potranno mai più raggiungere e che rappresenta la faccia del successo che Lila non vedrà mai (o almeno non in questa parte della storia).

Sullo sfondo gli anni ’60, i cambiamenti nella società, il benessere che poco a poco prende piede in città, i vecchi traffichini che con gli agganci giusti aumentano i loro affari e si danno arie da signori, che comprano tutto, cose e persone, la puzza della miseria viene nascosta dall’odore dei soldi, attraverso di loro il rione si allarga e si apre sulla città, tutto diventa più concreto, anche la città diventa solo uno dei luoghi del mondo che fino a quel momento sembrava non essersi mai accorto di loro, quell’aurea che permea le cose dell’infanzia e della prima adolescenza lascia spazio alle difficoltà della vita, alla crudeltà di alcune scelte, alla necessità di lasciare qualcosa indietro e di andare avanti da soli. Così, come è capitato nella vita di ognuno, arriva un’estate in cui si è giovani e tutto sembra greve eppure leggero, un’estate che marcherà il tempo da venire.

La verità su questo libro è che non sarà per forza la trama a conquistarvi, ‘che in alcuni casi è anche ovvia, lenta, ma lo spirito di cui è intriso il romanzo. Perché nonostante rispetto al primo volume la lingua sia più pulita, e forse solo chi conosce il napoletano può cogliere certe sfumature del linguaggio cariche di disprezzo di Lila, prevale la nota dominante di un amore dolente per le cose, i luoghi e le persone che ci accompagnano negli anni, anche se queste sono quelle che ci fanno del male o che causano del male, c’è sempre quel continuo ondeggiare tra egoismo e accondiscendenza che rende così umani i personaggi, che ci trascina via per le quasi cinquecento pagine sempre con quella voglia di sapere di più, rendendo il lettore veramente partecipe della storia che gli si srotola sotto gli occhi, storia che ha il ritmo di un’altalena, la cui idea di ritmo è ben suggerita dalla Ferrante quando fa dire a Elena “Com’è facile raccontare di me senza Lila: il tempo si acquieta e i fatti salienti scivolano lungo il filo egli anni come valigie sul nastro di un aeroporto; li prendi, li metti sulla pagina ed è fatta. Più complicato è dire ciò che in quegli anni accadde a lei. Il nastro allora rallenta, accelera, curva bruscamente, esce dai binari. Le valigie cadono, si aprono, il loro contenuto di sparpaglia di qua e di là. Oggetti suoi finiscono tra i miei, sono costretta, per accoglierli, a tornare sulla narrazione che mi riguarda (e che pure mi era venuta senza intoppi) ampliando le frasi che ora mi suonano troppo sintetiche.”