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Bambini fuori dal comune

Autore: Margherita Criscuolo
Testata: Inside Art
Data: 25 gennaio 2013

Esce a gennaio per i tipi di e/o “We are family” di Fabio Bartolomei. Ritroviamo l’autore di Giulia 1300 e altri miracoli a due anni dalla pubblicazione del suo romanzo d’esordio, cui ha fatto seguito, nel 2012, La banda degli invisibili. A bordo della sua Giulia, Bartolomei che si sente più a suo agio quando ci si dà del tu ha percorso un cammino di soddisfazioni che l’ha portato dritto al cuore dei lettori. Empatico, regala storie genuine di quotidiana follia, di resistenza umana, dense di autenticità e ironia ben dosata.

Nei tuoi libri il tempo del sogno è intrecciato alla realtà. Echi bergsoniani o del pensiero magico presenti nella letteratura latinoamericana?
«Se davvero ci fossero echi bergsoniani sarei il primo a sorprendermene. Di Bergson non ho mai letto neanche una pagina. È più facile che provengano dall’America Latina, ma sono echi di premi Nobel, e la cosa mi imbarazza. Il sogno è fondamentale, è la componente magica della realtà, nessun dualismo (allaBergson, guarda un po’), aggiunge quel pizzico di follia e di imprevedibilità che rende accettabile la quotidianità. I sogni dei miei protagonisti sono ricchi di ottani, detonano, creano azione. Quattro quarantenni sconfortanti decidono di sfidare la camorra, un gruppo di pensionati pianifica il rapimento di Berlusconi, un bambino lavora ossessivamente a un suo progetto per salvare il mondo. L’importante è sognare da svegli».

In “We are family” il protagonista è un bambino che non sa che non crescerà mai. In Giulia 1300 raccontavi la generazione dei quarantenni, dal futuro confuso. Nella Banda degli invisibili i protagonisti sono dei pensionati che sembrano essere centrifugati dal presente. Si chiude una trilogia legata alle età?
«La tentazione di dire che l’autore, parlando di me in terza persona, ha voluto chiudere un progetto legato all’esplorazione delle età dell’uomo è molto forte. La verità è che non c’era nessun progetto, ho scritto ciò che volevo, ciò di cui sentivo il bisogno senza avere in mente uno schema preciso. Mi piace parlare dei deboli, scovare forze interiori inaspettate, quindi era logico che prima o poi avrei subito l’attrazione del mondo dei bambini. È anche abbastanza logico che questa attrazione sia arrivata subito dopo aver scritto la Banda degli invisibili e aver esplorato le debolezze e la forza della terza età. Sono sicuro che più avanti avrò maggiore lucidità, per il momento sono in piena fase di bulimia artistica: scrivo compulsivamente, senza progetti per il futuro. Magari è solo il bisogno di sfogarsi, crescendo passerà».

Quel che colpisce nei tuoi romanzi è che, indipendentemente dalla sceneggiatura, in primo piano ci sono individui con tutte le loro evidenti idiosincrasie. Ciò che sembra unirli è l’appartenenza a un’Italia non cosmopolita, provinciale, marginale. Un’Italia da film neorealista che si ritrova a chiacchierare la sera al bar o in fila dal barbiere.
«Racconto un’Italia che ha bisogno di stringersi in piccole comunità, di chiudersi a testuggine per resistere al marcio. I quarantenni arroccati in un agriturismo, Giulia 1300, i quattro anziani che complottano ai tavolini di un centro anziani, La banda degli invisibili, i fratelli che tengono unita la famiglia con gli artigli, “We are family”, infondo non sono altro che moderne cellule partigiane, pronte a tutto per non appiattirsi, per non accettare passivamente un mondo che insegue una modernità senza progresso costruita sulla pelle dei più deboli. Anche Al, il bambino prodigio protagonista del mio ultimo romanzo, è a suo modo un partigiano. Già a sette anni capisce che non può restare con le mani in mano e inizia a lavorare al suo progetto rivoluzionario. Vuole salvare il mondo, e per farlo ha bisogno di due cose: una base operativa, la casa che i suoi genitori sognano da anni, e dei complici: sua sorella, serial killer involontaria di animali domestici, e Casimiro, l’amico invisibile. L’unione non fa solo la forza, fa anche la dignità, il riscatto, la crescita interiore».

In Giulia e nella Banda l’aspetto sociale,la condizione economica dei protagonisti è ben evidente. Cè un trait d’union anche in questa tua ultima opera?
«Sì, l’aspetto sociale è importante anche in “We are family”. Perché è nella ribellione alle assurdità della nostra società che emergono i tratti comici, romantici ed eroici dei miei protagonisti. In un paese fermo, miope e con nostalgie sbagliate, la voglia di cambiare, guardare al futuro e migliorare è la chiave di volta. Le rivoluzioni partono dal basso, quindi anche in “We are family” i protagonisti sono privi di quei mezzi che normalmente decretano il successo di un individuo: ricchezza economica, amicizie, agganci, cinismo, fortuna. Lottano contro tutto e tutti, a volte riportano delle vittorie striminzite a volte pareggiano. In ogni caso migliorano».

Giulia  ti  ha portato  in  viaggio  per  l’Italia  e  il  romanzo è  stato tradotto  in  diverse  lingue.  Anche la  Banda  ha  avuto  successo.
I  tuoi romanzi  hanno  viaggiato  più  dei  loro  protagonisti.  Te l’aspettavi?  Come  la  vivi  e  come  la  penserebbero  invece  i  tuoi  personaggi?
«Non mi aspettavo assolutamente nulla di tutto questo. Quando è uscito il  mio primo libro qualcuno mi ha detto che il novanta per cento dei  romanzi  vende  meno  di  200  copie.  Quel giorno  ho pensato: “Giuro  che  sarò felice se ne vendo  mille”. Sono stato di parola, raggiunto l’obiettivo  mi  sono messo l’animo in  pace. Sembrerà assurdo ma ci sono un bel po’ di persone  nella  casa  editrice  che possono confermare: non  chiamo mai  per  sapere  quanto  ho  venduto, non spingo  per  avere  interviste o  visibilità, non parlo  mai  di  premi. Per chiudere  il  discorso: un giorno  gli editori mi hanno salutato così: “Ecco il nostro simpatico autore che rema contro il suo successo”. In attesa di diventare  uno scrittore vero, talentuoso nella scrittura e nella promozione, la vivo bene, senza ansie da prestazione, senza calcoli. Penso solo a scrivere. Quindi, nel mio caso, le notizie della pubblicazione negli Stati Uniti e della traduzione in tedesco, sono arrivate assolutamente inaspettate. Gioia pura. Per quanto riguarda le reazioni dei miei personaggi, ecco una breve carrellata: Fausto escogiterebbe il modo meno elegante possibile per far trovare copie del libro sparse un po’ ovunque alle sue amanti occasionali; Lauretta si metterebbe in ghingheri e andrebbe a fare la fanatica al mercato
rionale; Al, non c’è dubbio, inizierebbe a studiare lo svedese per fare bella
figura alla cerimonia di consegna del Nobel».