Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Cuore cavo di Viola Di Grado

Autore: Sandra Bardotti
Testata: Wuz.it
Data: 21 febbraio 2013

Non sopravvaluto più, ora che ho visto il peggio. Non sopraggiungo più, perché sono sempre assente. Non concepisco più il soprannaturale, perché non c'è niente di più soprannaturale di me. Il prefisso "sopra" indica il superamento di un limite, e io non ho superato nessun limite: sono la prova che la morte non lo è. Io non sopravvivo, sottovivo.

Cuore cavo, secondo romanzo di Viola Di Grado, Campiello Opera Prima con Settanta acrilico, trenta lana nel 2012, è una bella rivelazione. Senza cadere nel tranello dell'esordiente che fa il verso a se stesso ripetendo meccanicamente lo stile e i temi del precedente fortunato, questa giovane autrice siciliana ci regala un nuovo originale romanzo fedele al suo genere che conferma le sue qualità e reca traccia evidente di uno studio accurato sui propri mezzi espressivi.

Gli agricoltori sanno bene che il cuore cavo è una malattia della patata causata dalla siccità del terreno. È una malattia che si sviluppo all'interno del tubero, come un cancro. Chissà se a questo Viola Di Grado ha pensato, quando ha scelto il titolo del suo romanzo. Si inizia con un suicidio, quello della protagonista Dorotea Giglio (ancora nomi di fiori, dopo Camelia, protagonista di Settanta acrilico, trenta lana). Dorotea vive a Catania, ha ventiquattro anni, è una ragazza fragile, con pochi amici e una famiglia distrutta. Sua madre è una donna scostante, la cui vita è stata segnata dal suicidio della sorella Lidia. Il rapporto tra madre e figlia è segnato dalla più profonda incomunicabilità. Dorotea ama moltissimo sua madre, ma crede di essere la sua malattia, la causa della rovina della sua vita. Il padre non c'è, non c'è mai stato. Solo l'intervento della zia Clara riesce, periodicamente, a riportare un'apparenza di normalità tra le mura domestiche abbandonate a se stesse e alla polvere.
Un giorno come tanti altri, dopo essere stata lasciata dal fidanzato Lorenzo, Dorotea si uccide. Si taglia le vene nella vasca da bagno. Tutto inizia qui, quello che succede dopo è un mondo nuovo che si apre e annulla i confini tra vita e morte. Mentre Dorotea ci descrive con minuzia di particolari la sua decomposizione fisica (non a caso, Lorenzo è un entomologo), conosciamo il suo passato e la storia della sua famiglia. Sottoterra il suo corpo viene invaso e lacerato da squadre di insetti e vermi, mentre sopra le stagioni si susseguono. La primavera torna, come sempre, come tutti gli anni, con i suoi fiori.
Il mondo in cui vive adesso Dorotea è un limbo in cui non ci sono più limiti, in cui l'anima, ostinata, continua ad aggrapparsi alla vita e alla quotidianità. Il tempo adesso è infinito, scorre al di là delle coordinate umane, ma la solitudine dei morti e dei vivi è la stessa. Dorotea gira per la casa, osserva sua madre dormire, continua a lavorare nel negozio in cui lavorava da viva. Spia le vite delle persone che ama, soffre la distanza. Continua a parlare, ma nessuno la sente. Incontrerà altri morti, come Euridice (allusione al mito che segna la separazione definitiva tra regno dei vivi e dei morti), e continuerà ad amare i vivi, come Alberto.
L'incomunicabilità è sicuramente il tema che più interessa Viola Di Grado. In Settanta acrilico trenta lana era espressa nell'assenza delle parole, nell'anoressia verbale di Camelia. In Cuore cavo, invece, il problema sta in un linguaggio non corrisposto. Le parole di Dorotea, morta, non vengono sentite dalla madre. “Io che mi preoccupavo tanto dell'amore non corrisposto, mi ritrovavo improvvisamente in una tragedia di linguaggio non corrisposto”, dice. Scrive un diario, il diario della sua decomposizione, ma non sa più leggere.
Un romanzo cupo, dunque, ma anche pieno di luce e bagliori improvvisi. Mentre arriva alla fine del suo racconto, un'altra Dorotea - la bambina della zia Clara - nasce in ospedale, perché la primavera torna, come sempre.

Cuore cavo è un romanzo che racconta la morte in maniera coraggiosa, privandola della sua tragicità - che cosa è la morte se tutto poi sembra andare avanti assurdamente? Dov'è "la fine di tutto"? -, che parla di anima restando sempre attaccato alla corporeità, all'amore per la fisicità. Lo stile di Viola Di Grado si conferma intenso e sorprendente, anche quando sbava giocando sulle parole e i significati. Cuore cavo è un romanzo che non deluderà chi ha apprezzato Settanta acrilco, trenta lana.