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“L’eroe quotidiano” di David Foenkinos

Autore: Iacopo Accinni
Testata: Flanerì
Data: 12 marzo 2013

Da poco tempo, sugli scaffali delle librerie è presente l’ultimo lavoro di David Foenkinos, L’eroe quotidiano (Edizioni E/O, 2013): racconta la semplice storia di un uomo pudico e melanconico, impiegato notturno alla reception di un hotel parigino. In una sorta di solitudine mistica e desolante, per quanto volontaria, attende l’ispirazione letteraria, desideroso di raccontare il grande amore. Sa di poter lasciare qualche cosa al mondo (pretesa in cui si può scorgere facilmente una leggera e voluta pecca di narcisismo dell’autore stesso).
Quella storia alla fine dei conti è lì a portata di mano. Dinnanzi ai propri occhi, ciascun uomo ha qualche cosa da raccontare. La vera tragicità è che non ce ne accorgiamo mai. Tutti, prima o poi, dobbiamo confrontarci con i nostri spettri, con la vita, con la fine.
Invertendo il ciclo esistenziale di una persona, il romanzo si apre proprio con la morte del nonno. Qui inizia il calvario dello stesso Foenkinos; oggigiorno dire «ti amo» a una persona cara risulta cosa assai ardua. Rimane la nonna, rinchiusa controvoglia in una casa di riposo. Vivere così è solo prigionia, e allora sono proprio i ricordi il terreno per una evasione che ha dell’incredibile: un’ultima fuga rinchiusa nella complice ed empatica relazione tra nipote e nonna.
Il titolo originale del romanzo è Les Souvenirs, i ricordi intesi come le dettagliate fotografie che l’autore cerca di immergere nella memoria collettiva, incitando i lettori a raccogliere ancora una volta la poesia del dolce rimembrare. Solo i souvenir rimangono, tutto il resto esplode in una bolla di sapone non appena esaliamo l’ultimo respiro. Il protagonista allora si concentra su pensieri legati a Nietzsche, Van Gogh, Serge Gainsbourg, persino sul rapporto con il cassiere notturno dell’autostrada A13; il pretesto è quello di sezionare, con amore e giustizia, la memoria. Foenkinos ci accompagna lungo una riflessione, la maggior parte delle volte dolorosa e turbolenta, sulla vita, sulla morte, sul tempo che scorre e fuga gli istanti, sulle relazioni intergenerazionali, sull’urgenza del sapere vivere. E poco importa se lo fa con una scrittura banale, da temino scolastico, poiché è così che tutti noi oggi parliamo e ci rapportiamo. Lo aveva già fatto nel 2010 con Lennon, piccolo e poco fortunato capolavoro ancora inedito in Italia: l’istante di qualche seduta psicoanalitica, prima che il grande John venisse ucciso.
Il “quotidiano” del titolo italiano è un aggettivo forse troppo superficiale, banale. Ma in fondo è l’uomo stesso a essere semplice: carne e ossa e la magia del saper pensare. Più che lo stile, comune, conciso, quotidiano appunto, sono i luoghi e le scenografie a essere asciutte. Un letto d’ospedale, la strada, casa, sono i luoghi di tutti, quelli che i nostri passi percorrono ogni giorno. La sintesi che se ne ricava è la vita in sé e per sé (quotidiana, una vita qualunque). Un uomo, il pertugiare del tempo. La mia esistenza, come la sua, come quella del vicino seduto sull’autobus o del cameriere che mi porta il solito caffè macchiato, sono dei souvenir, messi nero su bianco.
«Troppo spesso sono arrivato in ritardo sulle parole che avrei voluto dire. Non potrò mai più fare marcia indietro verso quell’affetto. Tranne forse, scrivendo qui, glielo posso dire».
L’autore, così come il suo alter-ego, il protagonista, si vuole far del male nella ricerca stessa del tempo perduto. È come la madeleine diProust: dagli oggetti sorgono i ricordi e, da questi ultimi, in un circolo che man mano diviene vizioso e sofferto, estrapoliamo i migliori aneddoti e i più grandi souvenir.
David Foenkinos non è lo Zola o il Sartre di turno, non scrive di filosofia, ma parla di mediocrità, rivolgendosi all’uomo qualunque. L’uomo di tutti i giorni. Lo fa pacatamente, con un vocabolario ridotto. Ma proprio qui sta la sua forza, nel ricreare in poco più di duecento pagine tutto il vuoto e l’instabilità che ci circonda, l’opaco e la nebbia che volutamente ci velano la possibilità di guardare lontano, guardare oltre. È facile nascondersi dietro la superficialità dell’insensibilità. La vita è una perenne macchina a vapore, sbuffa e si nutre di memoria e ricordi, e va alimentata continuamente.