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L’oltre della vita e della morte

Autore: Giovanni Dozzini
Testata: Europa
Data: 15 marzo 2013

L’inizio è un calcio sui denti. Stride su tutto ciò con cui siamo abituati ad avere a che fare: è la morte che scalza la vita, che racconta, che spiega. Viola Di Grado mette in scena un suicidio, e la vita dopo la morte, e la morte sopra ogni altra cosa, e l’ossessione per il corpo che si corrompe, per la materia che perde consistenza, che si muove in continuazione fino alla sparizione. L’inizio è minaccioso, morde la gola. Spaventa. Viola Di Grado, catanese, ha venticinque anni, e quando ha esordito con uno dei romanzi italiani più interessanti degli ultimi tempi, Settanta acrilico trenta lana, ne aveva ventitré. Era giovanissima, lo è ancora. Aveva talento, oggi sembra – se il talento può essere qualcosa che cambia nel tempo – averne di più. Cuore cavo (e/o, 166 pp., 16 euro), il suo nuovo romanzo, è un gioiello.
L’inizio è disorientante, annebbia la vista. La storia di Dorotea Giglio, fiore nato da un altro fiore, è triste, sbagliata: si uccide giovane, e poi vuole continuare a vivere, e continua: le cose non dovrebbero funzionare così. È tutto osceno, splatter, più morboso che macabro, ma presto il racconto prende il sopravvento, e comincia a correre. Pian piano l’impianto narrativo prende forma, la scrittura lirica e così poco convenzionale della Di Grado rivela i suoi intenti, e gli incastri di giochi e di parole danno sempre più senso all’incedere. Cuore cavo è un romanzo di donne e di amore, e naturalmente è un riflettere sul perché del vivere e sul perché del morire.
L’ossessione di Dorotea è sua madre, perché il padre non c’è, come non c’era in Settanta acrilico trenta lana: stessa assenza, stessa ossessione. Da fantasma Dorotea abita il mondo, e il terrore della sua solitudine senza fine per fortuna dura poco, a un tratto appaiono altri spettri, e le stanno accanto, ed è un sollievo e un peso, come ogni compagnia. I morti spuntano nei luoghi più disparati, in quelli in cui sono diventati ciò che ora sono, o in quelli in cui hanno vissuto, o ancora in quelli che ora albergano i loro corpi in disfacimento. Dorotea esplora il proprio, la vita di germi e insetti che lo divora, e rimugina su chi ancora esiste, scrivendo senza saper più leggere un messaggio nella bottiglia che implorerà comprensione. Poi l’amore, il rimpianto, il dolore, tutto ciò che prima era scontato e ora è impercettibile, anche se i sensi si confondono, e a tratti l’incomunicabilità sulla cui idea si potrebbe dire che si regga l’intero romanzo perde i suoi contorni per lasciar adito al dubbio: forse parlarsi è possibile, in fondo, forse è possibile salvarsi.
Cuore cavo è un romanzo nero, in cui l’ambientazione britannica dell’esordio di Viola Di Grado fa spazio a una Catania immobile e bella, un romanzo scritto meravigliosamente che rispetto a quell’esordio rivela una consistenza narrativa maggiore, in cui l’azzardo letterario è portato totalmente a compimento. Il talento che cresce, o forse il mestiere che lo sa guidare sempre meglio, il balzo in avanti che chiunque avesse apprezzato Settanta acrilico trenta lana si aspettava. Un libro di cui essere felici.