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Filosofia e retorica di un bar

Autore: Michele De Mieri
Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 31 marzo 2013

P uò il progetto dell'apertura e della gestione di un bar rappresentare il tentativo di costruire qualcosa di molto simile a quello che Leibniz definiva «come il migliore dei mondi possibili »? Sì secondo Matthieu Antonetti e Libero Pintus, due giovani corsi, ex studenti di filosofia alla Sorbona, protagonisti di un sermone sulla caduta di Roma di Jéròme Ferrari, premiato qualche mese fa col prestigioso Premio Goncourt. No, secondo la visione di Sant'Agostino (e di Ferrari stesso) che fa da leit motiv morale a questo romanzo: la vanità di tutte le cose terrene è la loro essenza, per cui tutto ciò che è umano è destinato a perire, ogni disegno, come ogni filo di una trama più grande che vorrebbe essere l'esistenza umana. Il sermone non è un libro facile, non gli giova questa impalcatura filosofica - Ferrari è un insegnante della materia - un po' troppo calata dall'alto su vicende che narrano in sostanza di tre generazioni, un andirivieni temporale che mette in sequenza i fallimenti di alcuni dei membri della famiglia Antonetti. Al l'inizio c'è il vecchio Marcel, nonno di Matthieu, che si perde nell'osservazione di una foto del 1918 che ritrae la sua numerosa famiglia qualche mese prima che lui nascesse: ora sono tutti morti, progetti dispersi dalla Storia che solo la sua debole memoria tiene ancora in vita, chissà per quando. Marcel è stato un uomo ambizioso che, funzionario dell'impero francese, ne ha visto la dissoluzione nell'Africa subsahariana, altri della sua famiglia in Indocina e in Algeria Tutto un mondo è scomparso, come la nave che secoli prima recava nel porto di Ippona la notizia della caduta di Roma, Marcel ha visto il mondo per il quale si era preparato franare e svanire. Ora vive in un piccolo paese della Corsica, dove suo nipote e il suo amico Libero decidono di aprire un bar, cambiare vita, assaporare le gioie del quotidiano, lontano dai corridoi della Sorbona, dall'umanità che va di corsa. Nella scelta molto contano i ricordi felici della vita estiva di paese, quando Matthieu veniva con la sua famiglia per qualche settimana e quando conobbe Libero. La Corsica, con i suoi silenzi, i suoi abitanti, il suo nazionalismo che anche se non esplicitato s'adombra, si prende il centro di questo romanzo, mostra a tratti una sua ancestralità improvvisa e violenta. Ferrari, lo ha raccontato lui stesso, è stato in gioventù attratto dalla retorica della patria corsa, e il legame con quella terra, lui parigino di nascita, è restato in tutti i suoi precedenti libri, con personaggi e luoghi de n sermone già apparsi precedentemente nei romanzi che l'editore italiano annuncia di prossima pubblicazione. In una débâcle di personaggi maschili ce n'è uno femminile, Aurélie, la sorella di Matthieu, che rappresenta un po' la custode del libero arbitrio, quella che meglio di tutti sceglie la sua strada, anticipa e pone rimedio ai colpi della vita. Quello che tiene insieme una trama un po' macchinosa e l'impalcatura filosofica del romanzo è pero uno stile straordinario, una scrittura che s'insinua nei pensieri dei personaggi mostrandone paure e desideri, che crea un dialogo col paesaggio, una capacità di alternare con eguale bravura frasi mondo dal respiro infinito e brevi battute da bar.