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Il sermone sulla caduta di Roma

Autore: Serena Gobbo
Testata: SoloLibri.net
Data: 26 aprile 2013

Il trait d’union del romanzo è il sermone che Agostino ha pronunciato nella sua cattedrale nel V sec. d.C. quando ha saputo che Roma era caduta in mano ai barbari. La vicenda è incentrata su Libero e Matthieu, due amici che mollano l’università per gestire un bar in un paesino della Corsica, ma in realtà spazia lungo tutto un secolo e atterra sia in Francia che nei soi territori coloniali. I mondi e gli imperi nascono e muoiono in continuazione, è una legge ineluttabile, l’unica cosa che si può fare è darne testimonianza (parola che non a caso torna all’inizio e alla fine del romanzo, unendo i due estremi). Lo stesso vale per i mondi in miniatura che sono i protagonisti del romanzo, ma anche per le realtà in cui vivono, sia che si tratti dell’università che del bar del paese. Uno degli protagonisti che, secondo me, dà più spessore al romanzo è la figura di Matthieu, visto come il prototipo dell’uomo che vive la transizione senza saperlo:

E’ così che muoiono gli imperi, senza che si avverta neanche un fremito?

Matthieu non si accorge degli scricchiolii che circondano il bar e che porteranno al violento dramma finale; vive nell’apatia anche la malattia mortale del padre, e sembra quasi lasciarsi trascinare - a volte dai sensi, a volte dall’inerzia - nei suoi rapporti con l’altro sesso; Mentre sua sorella, Libero, il nonno Marcel e sua madre Claudie prendono decisioni, anche scomode, e agiscono, Matthieu è sempre al traino di qualcuno o qualcosa. E’ proprio per questo che è affascinante: perché incarna un’inettitudine e una cecità che trascendono il tempo e lo spazio:

Non sa neanche di costruire un mondo, fa un’opera umana pietra su pietra e presto la sua creazione gli sfugge di mano e, se non la distrugge, sarà lei a distruggerlo.

E che dire dell’Agostino che compare alla fine del romanzo? E’ un uomo che sta morendo e che si accorge che l’origine e la fine si compenetrano: uno schiaffo al pensiero che ha sostenuto nel De civitate Dei, in cui affermava la concezione teleologica del tempo contro quella circolare dei pagani.

Pubblicato dalla casa editrice E/O nel 2013, “Il sermone sulla caduta di Roma” di Jérome Ferrari racchiude una visione romanzata e umanizzata di un Agostino che mi piace molto più di quella tradizionale.