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Massimo Maugeri, “Trinacria Park”

Autore: Claudio Morandini
Testata: FuoriAsse
Data: 30 luglio 2013

Chi conosce il garbo d’altri tempi con cui Massimo Maugeri conduce “Letteratitudine” nelle sue varie diramazioni non potrà non sorprendersi per la vena robustamente cattiva con cui ha scritto questo suo romanzo, “Trinacria Park”, appena pubblicato da e/o nella collana Sabotage. Intendiamoci: è una cattiveria fatta di severità di sguardo, di studio distaccato e intriso di pessimismo della natura umana, di insofferenza verso i danni che gli uomini possono provocare prima di tutto a se stessi, di delusione e indignazione per gli scempi di cui gli uomini sono capaci ai danni della natura, della cultura, della storia. In definitiva, è la cattiveria di chi, essendo fondamentalmente buono, si trova a combattere ogni giorno in un mondo di stupidi, avidi, disonesti.

Lo sguardo accigliato di Massimo Maugeri si esercita qui su un tema sempre affascinante che potremmo far risalire all’episodio della Torre di Babele: l’edificazione di un’opera di smodata ambizione, che travalica i limiti della natura umana e ambisce a misurarsi con Dio – o con gli dei, visti i rimandi mitologici che affiorano nel romanzo; ma non importa, la vendicatività dell’uno e degli altri parrebbe ugualmente terribile. Nel romanzo di Maugeri, questa costruzione frutto di orgoglio smodato si concretizza in un gigantesco e folle parco tematico sull’immaginaria isola di Montelava ispirato alla Sicilia, un concentrato di sicilianità pittoresca ad uso di turisti di tutto il mondo, una sorta di Minitalia in cui sono riprodotti su scala ridotta le città e i monumenti più significativi dell’isola, concentrati in un coacervo iperrealistico più-vero-del-vero che ricorda il più volte citato Disneyland parigino – o Cinecittà, o gli studios di Hollywood, al cui mondo si rimanda spesso e non a caso nel corso del romanzo, o mille altri parchi a tema, dal Parc Astérix al Jurassic Park di Crichton; ma quando si legge dell’Etna in scala ridotta, perfettamente funzionante, la memoria va piuttosto a certe villone pretenziose di nouveaux riches per accidente anche capi di governo che confondono il lusso ostentato con il gusto, il grosso il buono, il kitsch con il bello. Certo, con il parco dinosauresco di Crichton c’è in comune la particolarità geografica, l’isola che da paradiso si trasforma in prigione – ma, se leviamo questo ammiccamento, suggerito ironicamente dal titolo, davvero tutto il faraonico progetto di Trinacria Park risuona, più che come un’allegoria, come la proiezione in avanti del peggio del mondo in cui viviamo oggi.

L’ambizione degli uomini (politici locali e nazionali, uomini e donne di spettacolo, giornalisti, produttori, registi, attori) verrà scossa da una serie di eventi uno più disastroso dell’altro, che qui non riassumeremo e nemmeno citeremo, per non togliere il piacere dell’immersione nell’accumulo di imprevisti, nel climax di disgrazie, che procede come in un film o in un romanzo catastrofico, ma allo stesso tempo ne è, direi, la parodia (anche qui, una parodia perfida, scontenta, tendente al grottesco e sempre più indifferente al verosimile man mano che le cose precipitano, priva soprattutto di quel compiacimento larmoyant che rende i film catastrofici stranamente rassicuranti). Ed eccoli, i personaggi, tutti afflitti da un passato ingombrante, doloroso e irrisolto, tutti pronti a fingere, a simulare, per sopravvivere o scalzare gli altri in una gigantesca e rancorosa commedia degli equivoci che solo verso la fine smetterà di essere reci- tata – anche perché rimarranno in pochi a viverla.

E poi, ovunque, c’è la Sicilia: cioè, la riflessione sull’essere siciliani, su quella condizione paradigmatica che è la sicilianità – riflessione messa in bocca un po’ a tutti i personaggi, declinata in tutti i modi possibili, ora rimuginata come un’ossessione, un’appartenenza da difendere a tutti i costi, una necessità, ora come una sorta di condanna, addirittura una tara. Qui, sottotraccia, soprattutto in certe sentenziosità cui tutti i personaggi indulgono prima o poi, si sentono brandelli delle voci dei grandi scrittori isolani che hanno riflettuto sulla natura umana prima di Maugeri e che Maugeri conosce bene – voci pensose, di fine ironia, di scontrosa pervicacia nel rimestare la disorganica complessità del reale, i quali però nella volgarità imperante dell’oggi si troverebbero sicuramente a disagio.