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Non passare per il sangue di Eduardo Savarese

Autore: Erminio Fischetti
Testata: Fuorilemura
Data: 13 agosto 2013

Raccontare il conflitto in Medio Oriente, una delle piaghe storiche e sociologiche più laceranti dell’ultimo decennio è stato predominio della letteratura americana. Per ovvie ragioni, tutti crediamo che la cosa riguardi solamente loro. La loro società guerrafondaia, le armi, il conflitto come funzione mediatica. Tanti di questi elementi fanno pensare che tale stile di vita sia solamente un tema a noi lontano. Recentemente infatti due validi e premiati esempi ci sono stati forniti da due semi-esordienti, Kevin Powers con Yellow Birds e Ben Fountain con È il tuo giorno, Billy Lynn! Quei due romanzi affrontano il tema della guerra per esplorare in realtà le ossessioni e le mancanze della società statunitense. Nel nostro Paese questo compito viene affidato, o meglio lo propone, finalmente Eduardo Savarese, giovane magistrato della provincia napoletana, con Non passare per il sangue, frutto della rielaborazione del suo L’amore assente che era stato segnalato al Premio Calvino, una delle fucine più interessanti del panorama letterario nostrano in ambito di esordi.

L’opera di Savarese infatti racconta del conflitto in Afghanistan, o meglio come nel romanzo di Fountain il conflitto è assente quasi del tutto, lontano dal luogo in cui si svolgono gli eventi narrati, ma si staglia come un elefante al centro di un salotto pieno di ninnoli di cristallo. Perché quando si parla anche di omosessualità in Italia tutto sembra provvisorio, frangibile, lontano, irreale. Un Paese che non ha ancora imparato a dire questa parola con disinvoltura nemmeno durante una conversazione quotidiana. Figurarsi quindi se il protagonista di un romanzo, Luca, è un ufficiale dell’esercito omosessuale che ha una relazione con un suo collega, Marcello. Che ora è morto. Di lui gli restano solamente alcuni oggetti che porta alla nonna, Agar, una donna greca che è fuggita dal suo Paese per stare con un uomo italiano, che parla la nostra lingua con una ruvida inflessione straniera e che ha vissuto altre guerre in altri luoghi e che certo la parola “omosessuale” non la pronuncia con disinvoltura.

Savarese racconta la storia di entrambi, quella del giovane uomo e quella dell’anziana donna. Forse non hanno molto in comune, almeno credono, o forse hanno molto, l’amore per Marcello, che come recita il titolo originale della vicenda è un amore assente, perché è scomparso, è morto, in qualche modo per sua stessa volontà. Di lui nessuno parla come si dovrebbe. Tranne Luca, che vorrebbe raccontare ad Agar il vero Marcello, vorrebbe farglielo capire. Ma Agar non è una dolce nonnina di un claudicante film americano, che comprende e seda i conflitti generazionali fra genitori e figli perché lei ci vede più lungo. Agar sembra gretta, crudele; sembra comprendere poco il mondo di questi due giovani, anzi lo rinnega fino alla fine. Eppure non la si può dare per scontata così, non possiamo condannarla con facilità, il suo carattere è complesso, complicato e pian piano comprendiamo il perché.

L’autore propone un tema molto scottante che probabilmente non ha precedenti nella letteratura nostrana, non quello dell’omosessualità, che ha buoni trascorsi in tale ambito, ma quello dell’omosessualità nell’esercito. Ma al di là delle recriminazioni sociologiche ad un Paese arretrato su molte cose, in particolare per quanto riguarda i diritti civili, Savarese ha dalla sua la grande abilità di raccontare con toni asciutti una storia fatta di sensibilità e di delicatezza, di incontri e scontri, della ricostruzione di un amore assente e di un mondo incapace di comprendere. Persino quella nonna che considera la loro passione impossibile, incapace di essere espressa perché secondo lei innaturale.

Una storia privata che aleggia nelle sue parole sincere, nel suo stile intenso. Non a caso, l’autore non vuole fare della demagogia sulla condizione delle coppie omosessuali, ma narrare una storia d’amore e una storia di rapporti famigliari con pacata semplicità. Il taglio narrativo è elegante, classicheggiante e per molti aspetti ricorda quella letteratura americana citata inizialmente, ma la lezione viene da un altro tipo di scrittura e di storie, quelle di un tempo passato, di autori immortali del Novecento, che riconfigurano i sentimenti e i rapporti famigliari, i conflitti eterni di generazioni che cambiano e quindi si scontrano con le precedenti. Ma soprattutto è un canto sulla ricerca dell’amore dove la speranza della sua espressione stavolta sembra vana, eppure sempre lì ad attenderci. L’orgoglio del protagonista presente e del protagonista assente di questo bellissimo romanzo si staglia nella ruvidezza del loro amore, nella pudicizia dei loro sentimenti, nel profondo rigore della loro mascolinità che è espressa con una sobrietà di rara intelligenza.

In fondo, Non passare per il sangue che cita con rigore, ma non ostenta il suo sapere letterario, sembra la versione ancora più cruda di un’opera teatrale di Terrence McNally, Andre’s Mother. Lì i sentimenti, i dubbi, le recriminazioni venivano fuori, qui aleggiano e sono appena sussurrati. Però si sentono forte lo stesso.