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ALBERTO MUSSA ANTEPRIMA. LA CASA DEGLI SCAMBI

Autore: Paolo Melissi
Testata: Satisfiction
Data: 30 settembre 2013

Una sorta di manifesto sintetico della letteratura – ma anche del giallo, del crimine della città e del rapporto intercorrente tra queste dimensioni – premette e apre La casa degli scambi, romanzo del brasiliano Alberto Mussa in uscita da E/O (trad. Paola Vallerga). A farla breve una specie di guida (non solo erotica) della città di Rio de Janeiro, un attraversamento della sua caoticità e commistione, in cui fa da sfondo uno speciale bordello, dove la clientela non è composta solo da uomini.

Paolo Melissi

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Non è la geografia, non l’architettura, non sono gli eroi e neppure le battaglie, né tanto meno la cronaca di costume o le immagini nate dalla fantasia dei poeti: ciò che definisce una città è la storia dei suoi crimini. Non mi riferisco, sia chiaro, ai delitti volgari. In qualsiasi luogo al mondo vi sono criminali scontati, prevedibili, banali. Parlo dei crimini fondanti, dei crimini necessari; di quelli che altrove sarebbero inconcepibili, che sarebbero potuti accadere solo nella città a cui appartengono.
Sono giunto a questa conclusione tramite il Congresso permanente sulla teoria e l’arte della narrativa poliziesca, sotto l’egida dell’Unesco, che ha sede a Londra e gode del contributo economico di Scotland Yard. Facevo parte della Quarta sezione, il cui compito consisteva nell’analizzare la storia criminale delle grandi capitali del mondo raccogliendo esempi di “delitti perfetti”, realmente avvenuti, ma identici per natura ai loro corrispettivi letterari.
Benché infastidito da questa denominazione in qualche modo impropria, accettai la regola stabilita dal Congresso e rilevai un gran numero di casi nella storia di Rio de Janeiro, la città che mi era stata assegnata. Ero quasi sul punto di terminare la relazione, quando notai che uno di essi si discostava da tutti gli altri. Si trattava, anche in quel caso, di un delitto perfetto. Solo che la sua “perfezione” non stava nell’impossibilità materiale di trovare le prove, bensì nell’impossibilità logica di prevederne la soluzione. Non riuscii a inserire materiale di quel genere in un testo burocratico.

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A Londra ebbi una riunione difficile. Oltre a essere una città al di fuori della fascia tropicale, non immaginavo che gli abitanti fossero così esotici: non riuscivano ad accettare l’idea di casualità o di disordine, erano misurati, sobri, puntuali, e non reagivano granché bene alle emozioni spontanee. Uscii dimissionario dalla sede del Congresso, ma non dimenticai gli appunti. E fu su quella base che scrissi questo romanzo, naturalmente seguendo la formula poliziesca. Ma si può leggere anche come una storia d’avventura, una trama da “caccia al tesoro” in cui prevalgono le scene di duello, l’ambizione e la vendetta. Per questo è più vicino a Dumas che a Melville o a Conrad, il che tradisce la vocazione francese della mia città.
Altri la leggeranno come una passeggiata per Rio de Janeiro, in parallelo nel tempo e nello spazio, giacché un delitto non si può comprendere né interpretare al di fuori della scena in cui
si è svolto.
E poiché sono i delitti a definire le città, questa storia è anche il mito di Rio de Janeiro. Mito di fondazione, ancorché spostato in avanti lungo l’asse cronologico. Oggi so che il concetto di città è svincolato dalla nozione di tempo. Molti diranno che mi sono orientato ancora una volta verso il genere fantastico. Respingo questa ipotesi. Questa è una storia vera, e un’autobiografia, benché somigli a un’opera di finzione. Perché la letteratura, per risultare un minimo interessante, deve differenziarsi dalla vita.

I l delitto di cui rimase vittima il segretario alla presidenza della Repubblica del governo Hermes da Fonseca si consumò nell’antico quartiere imperiale di São Cristóvão, nell’allora rua do Imperador (odierna avenida Pedro II), in cui sorgeva la leggendaria dimora nota come Casa degli scambi.
La Casa degli scambi, dapprima residenza della marchesa de Santos, poi di proprietà del barone de Mauá, passò infine al medico polacco Miroslav Zmuda, polemico sostenitore dell’aborto e della sterilizzazione femminile, che ne prese possesso nel 1906. Quella favolosa palazzina fu inoltre sede del Ministero della salute e del Museu do Quarto Centenario, e ospita oggi il Museo do Primeiro reinado. Il giorno in cui ha inizio la nostra storia, però – venerdì 13 giugno 1913 – sembrava adibita a prestigiosa clinica del polacco.
Sembrava adibita, ho detto. Ho esagerato: nell’ala sinistra del piano terra di quella casa funzionava effettivamente, solo di mattina, lo studio medico del dottor Zmuda, che comprendeva anche una sala parto, utilizzata molto di rado. Tuttavia, celato dietro a quella facciata, vi aveva sede anche un sontuoso bordello, i cui misteri erano racchiusi al piano superiore.
Il bordello del dottor Zmuda è stato, nel suo genere, l’istituzione più singolare nella storia della città. Perché non era solo un luogo in cui gli uomini acquistavano i servigi delle prostitute: anche le donne potevano assicurarsi i favori maschili. Era infatti consentito ogni accordo, ogni combinazione, ogni scambio.