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Alcazar ultimo spettacolo di Stefania Nardini

Autore: Marisa Cecchetti
Testata: Tellusfolio.it
Data: 7 ottobre 2013

È il 1939 e in Italia sono in vigore le leggi razziali. Anche gli omosessuali sono in pericolo. Gino Santoni, in arte Cordera, si esibisce sul palcoscenico cantando in versione femminile; Silvana Landi è una sua carissima amica, una brava trasformista che si è fatta conoscere lavorando seriamente, senza scendere a compromessi, dopo che il padre, socialista, è caduto in disgrazia sotto il regime.
Gino Santoni ha commesso l’errore di accettare l’invito a cena di un gerarca fascista che l’ha ammirato in vesti femminili. Da qui parte la storia di Alcazar ultimo spettacolo, della giornalista e scrittrice Stefania Nardini, con un salvifico allontanamento di Cordera dal porto di Napoli, direzione Marsiglia. Con lui c’è Silvana e tutta la sua troupe.
Marsiglia è luogo di incontro di gente da tutti i Paesi, “una città di scaricatori, gangster e puttane”, dove nel ’39 arrivano fuggiaschi e esiliati dall’Italia e da Parigi. Gli Italiani sono chiamati in modo spregiativo ritals: “Sono figlio di un italiano – dice il claquer dell’Alcazar – questa città è fatta di gente come me. Siamo ritals, e Marsiglia siamo noi. Mi capite? Siamo noi che la facciamo ogni giorno meticcia”. A Marsiglia c’è un teatro, l’Alcazar, quasi un tempio, un simbolo, non un teatro qualunque.
René Russo ha origini napoletane, Alfred Morello ha origini siciliane. Entrambi con un’infanzia disgraziata, hanno la protezione del clan dei Ventura, antifascista e antitedesco, con cui gestiscono teatri, traffico di sigarette, oppio, caffè, armi, bordelli. Fanno parte del milieu, organizzazione mafiosa di Marsiglia anni trenta: “I due non erano tipi da collegio delle Orsoline. Lo si vedeva dai loro abiti, dalle scarpe di coccodrillo, dal brillocco al dito mignolo… Pezzi grossi… autorevoli esponenti di quella balorderia mediterranea detta milieu”. Grazie a loro Silvana può fare repliche del suo spettacolo all’Alcazar. Ma sulla città tiene le mani anche il clan dei Cannamozza, filonazista, che continua a mostrare la sua forza nella zona del porto.
Su questo sfondo di tensioni crescenti, attraverso il dilagare della seconda guerra mondiale, l’occupazione di Parigi, il bombardamento stesso di Marsiglia, la complicazione dei rapporti tra Italia e Francia, si sviluppa la storia d’amore tra Morello e Silvana. Una storia fatta di luci ed ombre, dove lei, per amore, a lungo cerca di non farsi domande sulla vita di Morello, che usa la pistola non solo per difendersi, e si macchia le mani di sangue nella guerra tra clan.
Trasversale al romanzo è la vicenda di Cordera, che un bel giorno non si presenta sul palcoscenico, sulla cui misteriosa scomparsa si fanno molteplici congetture. Vittima di una spiata di chi si è messo al servizio della Gestapo e dei fascisti? Confinato, ucciso dal regime? Ostaggio in mano dei Cannamozza che vogliono sgominare il clan rivale?
La Nardini crea un intreccio oltremodo coinvolgente, con enigmi che si risolvono addirittura a settanta anni di distanza, inattesi e tanto più efficaci.
Dà spessore ai suoi personaggi che non sono semplici comparse ma persone vere, con le contraddizioni, le paure, le passioni, le debolezze umane. E racconta l’odio e il sangue e la vendetta con mano veloce, senza indulgere ai particolari, in un voluto distacco e rifiuto del male, pur dovendolo accettare come appartenente alla storia e alla mente dell’uomo.
C’è dolore nel riconoscere la condizione del nostro Paese, l’impotenza a cui è stata ridotta la gente che non osa più pensare con la propria testa:
“Siamo come cani bastonati – dice a Silvana l’amico Nando in un rientro di lei in Italia – che non riescono neanche ad abbaiare. Tra manganellate e olio di ricino ci nascondiamo dietro la facciata di una grandezza che non esiste… Ci siamo abituati all’idea che pensare con la nostra testa non sia un diritto. Per questo reprimiamo l’indignazione. Anche se ci fa schifo che il nostro vicino di bottega venga umiliato solo perché ebreo o frocio”.
Silvana Landi, la trasformista, “donna di spettacolo ma non donna facile”, rimane simbolo di onestà e profondità di sentimenti, sia nell’amicizia che nell’amore, una donna che sa fare impensabili scelte, coerente fino all’ultimo con i propri principi di vita.
La Nardini ci porta per le via di Marsiglia, per la zona del porto, per le zone malfamate e povere, con la sicurezza di chi conosce bene la città ed ha imparato ad amarla, riuscendo a ricreare allo stesso tempo il colore del Panier e quello dei vicoli di Napoli.
La ricostruzione storica ripropone gli aspetti della cultura e della società degli anni trenta, attraversa i momenti più terribili della guerra vista soprattutto nelle conseguenze sui civili, con i morti sotto i bombardamenti, la fame che attanaglia le persone, la paura di parlare e di essere ascoltati, la fondamentale assenza di libertà. “Le parole – dice Nando che ascolta di nascosto Radio Londra – le viviamo come il pericolo maggiore”.
Al di là degli eventi storici, anche nella storia di Morello e Silvana, anche nella storia di Cordera, prevalgono silenzi e mezze verità.