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Tra politica e letteratura nel solco di George Orwell

Autore: Giorgia Cipelli
Testata: Mondo Padano
Data: 27 settembre 2013

Tu scrivi sotto lo pseudonimo Tersite Rossi: come mai questa scelta?

Non scrivo da solo, siamo in due. Con me scrive Mattia Maistri, insegnante di storia e filosofia nei licei. Quando decidemmo di scrivere assieme, colti dal tipico delirio di onnipotenza che afferra ogni esordiente, già vedevamo la copertina del nostro primo romanzo esposta in bella vista in libreria. E ci sembrò che i nostri due nomi vi sfigurassero. Meglio uno pseudonimo, più veloce e facile da ricordare. Ecco allora che decidemmo per Tersite Rossi, richiamando l’antieroe omerico, quel Tersite che sfidò i suoi capi-guerrieri finendo però bastonato e deriso. A Tersite abbiamo poi affibbiato il cognome più diffuso in Italia, per sottolineare la vocazione popolare che comunque contraddistingue i nostri lavori.

 

La tua professione giornalistica quanto incide su ciò che scrivi? "E' già sera, tutto è finito" ha risvolti autobiografici?

Incide molto. Il protagonista di “E’ già sera, tutto è finito”, Antonio Castellani, è un giornalista che prova ad andare controcorrente, e qualcosa di autobiografico c’è senz’altro. La scrittura narrativa ha rappresentato per me un modo per raccontare la realtà aggirando i vincoli e i limiti di superficialità e conformismo insiti nella professione giornalistica, almeno come nella maggior parte dei casi viene richiesto oggi a un giovane di svolgerla. Con la narrativa si è più liberi, il respiro è più ampio e il rischio di censura, compresa quella autoinflitta, meno forte (per quanto non del tutto assente).

 

Quanto sono importanti le vicende storiche nei tuoi romanzi? E quanto peso rivestono i personaggi nei tuoi libri?

Nei romanzi di Tersite Rossi le vicende e i fatti storici realmente accaduti sono scenario costante della narrazione. Sia quando vi entrano effettivamente citati, sia quando fanno sentire le loro conseguenze – magari imprevedibilmente e drammaticamente – sulle vite dei personaggi. Si tratta di una scelta di campo convinta: non si può parlare del reale senza guardare alla storia che lo ha generato. In questo contesto, i nostri personaggi sono artefici non solo della loro storia personale, ma della Storia con la maiuscola, ne possono in qualunque momento invertire il flusso, ma al tempo stesso vi sono inseriti e ne sono trascinati.

 

"Sinistri" è ambientato addirittura nel futuro. Come vedi il futuro delle giovani generazioni? E, da giornalista, il futuro dell'Italia?

Purtroppo vince il pessimismo. Precariato e instabilità da un lato, progressivo impoverimento delle coscienze dall’altro, lasciano intravedere per le giovani generazioni un futuro hobbesiano di “bellum omnium contra omnes”, guerra fra poveri, sia materiali che di spirito. Guardando all’Italia nel suo complesso, è difficile immaginarvi un futuro ancora “umano”: la tecnocrazia liberticida che si cela dietro le Larghe Intese e che tende a radicalizzare il pensiero unico impostato sul culto degli Dei moderni, Mercato e Profitto, rischia di portare a un mondo di cyborg-consumatori dall’occhio spento, schiavi inconsapevoli di una élite di tecnocrati ottusi e grigi. In poche parole, un incubo che diventa realtà.

 

Sei casalasco di origine ma ora risiedi in Trentino. Cosa ti ha spinto a trasferirti? Come mai proprio questa regione? 

Motivi sentimentali. Trentina è la mia compagna, Chiara, conosciuta ormai dieci anni fa a Parma, quando entrambi eravamo universitari. E in Trentino sono rimasto: una terra che da fuori viene vista come l’isola felice, dove in effetti civismo, cooperazione, solidarietà e rispetto dell’ambiente sono piuttosto connaturati alla cultura della gente, anche se decenni di autonomia – e quindi di denaro facile da spendere facilmente – hanno creato clientelismi, opacità nella macchina amministrativa e scarso dinamismo economico, sociale e culturale, che ad alcuni osservatori – e mi metto fra questi – fanno parlare addirittura di deficit democratico.

 

Qual è il tuo genere letterario preferito? A quali autori fai riferimento?

Nessuno in particolare. Sono per la mescolanza dei generi e per la continua sovversione della loro sintassi, sia come lettore che come autore. Dovendo citare qualche stella polare di Tersite Rossi, ci sono senz’altro i Wu Ming con il loro New Italian Epic. E poi la New Social Novel di Jonathan Coe e il Noir Mediterraneo di Massimo Carlotto.

 

Altre storie a cui stai già lavorando?

Abbiamo un soggetto per il nostro terzo romanzo, con il quale, intrecciando le vicende di un banchiere di Wall Street e quelle di un’antropologa italiana, diremo la nostra sulle origini primordiali, risalenti forse all’alba dei tempi, della crisi, non solo economica, che devasta il nostro tempo.

 

 

Marco Niro nasce a Casalmaggiore (CR) il 10 maggio 1078. Dopo la maturità classica conseguita al Liceo Romani di Casalmaggiore, si laurea in Scienze della Comunicazione nel 2004 all’Università di Modena e Reggio Emilia. Nel 2005 esce il suo primo libro, il saggio “Verità e informazione – Critica del giornalismo contemporaneo” (Edizioni Dedalo). Trasferitosi in Trentino per motivi sentimentali tuttora validi, attiva diverse collaborazioni nel campo del giornalismo e della comunicazione ambientale. Oggi dirige il trimestrale "Divieto di senso" e collabora con il periodico online diretto da Giulietto Chiesa "Megachip.info".

Nel 2007, con l’amico Mattia Maistri, insegnante di storia e filosofia nei licei, fonda il collettivo di scrittura narrativa noto come Tersite Rossi (www.tersiterossi.it), autore del romanzo d'inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e Mafia "E' già sera, tutto è finito" (Pendragon 2010; finalista al Premio Internazionale Alessandro Tassoni 2011) e del noir distopico "Sinistri" (Edizioni e/o 2012), quest'ultimo uscito nella Collezione SabotAge curata da Massimo Carlotto.