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Cristiani di Allah, vite di corsari nel grande mare della tolleranza

Autore: Paolo Merlini
Testata: La Nuova Sardegna
Data: 11 aprile 2008

Redouane e Othmane vivono la loro condizione di amanti omosessuali alla luce del sole. Abitano insieme in una bella villa e conducono un’esistenza agiata, circondati da oggetti preziosi e opere d’arte, amano la buona musica, ogni tanto si concedono una fumatina d’oppio, sono accuditi da fedelissimi servitori, testimoni discreti del loro amore. E viaggiano molto. Ma Redouane e Othmane - che fra l’altro formano una coppia, come si dice, multietnica: uno è albanese, l’altro tedesco - non sono stilisti affermati della Milano di oggi, né pubblicitari di San Francisco o broker finanziari della terza o quarta generazione di immigrati della Bhangra-London, quella narrata da Hanif Kureishi e a seguire da tanti altri scrittori e cineasti.

Redouane e Othmane sono una coppia di fatto del Cinquecento, vivono in una grande città islamica, Algeri, sono loro stessi islamici, o meglio lo sono diventati: sono cristiani di Allah, come all’epoca venivano chiamati i rinnegati, coloro che avevano abiurato la propria origine europea o del nord del Mediterraneo, e dunque anche la religione dominante, per condurre una nuova esistenza nel Maghreb, dove ovviamente avevano dovuto abbracciare il credo islamico. E sono corsari. «Cristiani di Allah» è appunto il titolo del nuovo romanzo di Massimo Carlotto (edizioni e/o, 194 pagine, 19,50 euro con cd musicale allegato), appena uscito in contemporanea con uno spettacolo rappresentato in prima nazionale mercoledì a Nuoro al Teatro Eliseo (vedi servizio in questa pagina). Caso singolare, libro e spettacolo hanno debuttato lo stesso giorno, e ancor più singolare, l’autore Massimo Carlotto ne è diretta parte in causa, perché recita in scena la parte della voce narrante della vicenda.

E quella raccontata da Carlotto sembra la Storia alla rovescia, almeno dal nostro punto di vista di osservatori del ventunesimo secolo, sopraffatti e annichiliti dalle notizie drammatiche che il fondamentalismo islamico ci fornisce quasi quotidianamente; osservatori occidentali, andrebbe aggiunto, perché non sappiamo esattamente che effetto possono fare dall’altra parte le esternazioni di un Buttiglione, un Ferrara o un Borghezio. Il libro di Carlotto è un «Cacciatore di aquiloni» al contrario, dove il cuore dell’Islam, il Maghreb e l’impero ottomano di cinque secoli fa, ci appaiono invece più tolleranti rispetto al mondo cristiano di allora, quando bastava un sospetto di eresia per finire sul rogo. E quando forse anche il sultano di Istanbul Solimano il Magnifico giustificava le mire espansionistiche del suo impero come portatrici di democrazia e civiltà.

Non è però un mondo di begli ideali, benché retto da regole precise e unanimemente rispettate, cioè un codice barbaresco al quale è obbligatorio attenersi. Perché Algeri è la città dei corsari, dove l’esercito dei cristiani di Allah si allunga ogni giorno, con le decine e decine di migliaia di persone che lasciano la Francia, le cattolicissime Italia e Spagna, ma anche l’Olanda e la Germania per rifarsi una vita. O per costrizione, poiché molti di loro sono o sono stati schiavi, catturati qua e là.

Il romanzo di Carlotto è denso di fatti storici precisi, le vicende di Redouane e Othmane, e della terza protagonista, la cantante veneziana Lucia, fanno da sfondo a fatti - assicura l’autore - realmente accaduti. Del resto, come è scritto nelle note di copertina, il titolo è tratto dal saggio «I Cristiani di Allah» degli storici Bartolomé e Lucile Benassar, tradotto per la Rizzoli nel 1991 da Sergio Atzeni. E per scrivere il suo romanzo Carlotto ha visitato molte biblioteche, è stato più volte ad Algeri, ha ascoltato i preziosi consigli di tanti scrittori maghrebini: come Amara Lakhous, intellettuale algerino in esilio in Italia dai tempi della guerra civile e autore di un bel noir uscito sempre per le edizioni e/o, «Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio». Spiega Carlotto che l’idea del libro (e dello spettacolo) gli è venuta tre-quattro anni fa, quando l’idea di un conflitto di civiltà, lanciata forse come una boutade, si era poi pian piano diffusa. E racconta che come l’Alligatore, il protagonista dei noir che lo hanno reso celebre, ha voluto investigare sulle radici di questo presunto scontro, e verificare se concetti oggi universalmente accettati come per esempio la tolleranza fossero patrimonio di una sola parte, e lo fossero sempre stati. Ciò che ha scoperto, e riportato nel libro, è una realtà dove il dialogo e l’accettazione del diverso, in una parola la multiculturalità, erano pratica diffusa, specie nel Maghreb. «L’omosessualità e la libertà religiosa - dice lo scrittore - erano tollerate. Il Corano condannava l’amore tra uomini, ma le loro unioni venivano sostanzialmente accettate. In quei secoli trecentomila persone attraversarono il Mediterraneo in senso contrario rispetto a quanto avviene oggi per inseguire, attraverso la conversione, il riscatto sociale. Le conversioni dall’Islam al Cristianesimo erano invece molto più rare, e per questo venivano adeguatamente, se così si può dire, pubblicizzate. Un po’ come accade oggi». Si riferisce forse alla conversione del giornalista Magdi Allam? «Be’, quello è certo il caso più eclatante», dice Carlotto.

Ovviamente quello dell’autore - al di là dell’opera letteraria - non è comunque un mero elogio dell’Islam a scapito del Cristianesimo. È consapevole del ruolo subalterno delle donne allora come oggi, della violenza spesso cieca che dominava queste società. «Il mio - spiega - è piuttosto un invito a ristabilire un dialogo che oggi appare impossibile tra due mondi affacciati su uno stesso mare che un tempo hanno avuto contatti frequenti. E il Mediterraneo, che un tempo era il centro del mondo, oggi può riconquistare la propria centralità diventando il luogo di questo nuovo incontro». Ma torniamo al romanzo, senza offrire al futuro lettore troppi elementi di una storia che tra scorribande, assalti e saccheggi ha comunque sempre il proprio fulcro nelle vicende della «coppia di fatto» Redouane-Othmane. Che poi non sono proprio mammolette, ma due reduci di tante campagne (si sono conosciuti quand’erano entrambi lanzichenecchi), uomini svelti e abili di spada, disposti a uccidere senza pensarci. I lettori sardi troveranno poi molti personaggi della loro isola, in qualche caso realmente esistiti, ed è forse questo aspetto che incuriosì il Sergio Atzeni traduttore. Come il reggente di Algeri, Hassan Agha, in origine un pastorello del Nord Sardegna strappato alla sua terra in tenera età, castrato (lo chiamavano infatti «capon») perché potesse servire al meglio, cioè senza troppe distrazioni, il suo padrone Barbarossa, ammiraglio dell’intera flotta ottomana. O il musicista sulcitano che gira le piazze e le corti italiane intrattenendo con il suo liuto.

Sul finale (siamo nel 1541) si affaccia il miraggio del Nuovo Mondo, che allora erano ancora Le Indie, ed è lì che forse, nel prossimo romanzo di Carlotto, ritroveremo il protagonista Redouane. Ovviamente avrà cambiato identità e religione, ma in fondo - sembra dirci Carlotto - nella vita ci sono cose più importanti.