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Letteratura e missioni di pace

Autore: Paolo Petroni
Testata: Corriere della Sera
Data: 7 gennaio 2014

L'artista ha una sensibilità che lo porta ad avvertire prima degli altri i mutamenti, le novità, i modi di sentire di una società. Così, quando cominciamo a vedere che alcuni importanti scrittori anche amati dal pubblico, da Margaret Mazzantini con «Venuto al mondo» (Mondadori), a Melania Mazzucco con «Limbo» (Einaudi) o Paolo Giordano con «Il corpo umano» (Mondadori), sentono la guerra e il tema dei reduci come d'attualità, non per disquisire se si tratti o meno di forze di pace, ma per raccontare come quegli avvenimenti apparentemente lontani comincino a segnare la vita di alcune persone e di chi gli sta intorno, quindi della nostra società italiana, come l'incontro con la violenza, il sangue, la morte non possa venir dimenticato al ritorno, quasi fosse stata una vacanza, credo che dovremmo rifletterei sopra un po' tutti. Oltre a questi coinvolgenti romanzi, cui si è di recente aggiunto quello del colonnello dei carabinieri e buono scrittore Roberto Riccardi, che fu in missione in Bosnia e Serbia, «Venga pure la fine» (E/O), a metterei in guardia su quel che sta lievitando attorno a noi senza che ce ne accorgiamo c'è stato anche un testo teatrale molto forte, di bella verità, «Il pretesto» di Giampiero Pumo portato in scena da Mariano Rigillo, e ora il libro inchiesta di una delle nostre corrispondenti di guerra di punta, Barbara Schiavulli che ha incontrato dieci militari, di ogni tipo e grado, per raccontarci «La guerra dentro» (www.youcanprint, pp. 142- 12,00 euro).

Il tema di tutti questi libri è quello dei reduci, di chi torna segnato, menomato nell'anima e magari anche nel corpo, da una «IDissione di pace», che persino i generali non esitano a chiamare guerra. Dieci incontri, perché l a Schiavulli come tali c e l i racconta, non a intervista con domande e risposte; dieci storie diverse eppure simili, dal tiratore scelto alla psicologa che si occupa dei militari, dal membro delle forze speciali al pilota di elicotteri, tutti alle prese con la morte, che diventa naturalmente il tema centrale del libro, cui bisogna dare un senso per poter andare avanti, nonostante «quello che leggi, quello che ti dice la politica, non ti rappresenti» e i morti vengano strumentalizzati, come, senza reticenze, dicono alcuni. E la morte violenta non può non lasciare un segno e dobbiamo evidentemente accettare che quella «sindrome di di sordine post traumatico» di cui cominciantmo a leggere a proposito dei reduci dal Vietnam, oggi sia tra noi, tra i militari che tornano a casa e devono riabituarsi alla vita, tra chi è rimasto a casa e si trova a dover fare i conti con i loro cambiamenti e difficoltà, spesso pesanti.

«Si guariscono le ferite del corpo, ma non da quello che ti entra dentro, non dalle cicatrici del cuore e dell'anima» spiega il capitano Gennaro Masino, dilaniato, ma sopravvissuto all'esplosione di un autobomba a Herat Paura e tensione sono le due parole che più ricorrono, i due sentimenti e stati d'animo che citano tutti più o meno i militari reduci da missioni, dalla guerra appunto. Alla tensione ci si abitua, alla morte no, confessa il generale Carmine Masiello della Folgore, mentre l'alpino Riccardo Andone dice sorridendo che lo stress si scarica al rientro al campo, mentre «la paura è una stretta allo stomaco», la si riconosce e la si usa per lavorare meglio, «ne serve sempre un pizzico per mantenere la concentrazione», da cui speso dipende la vita tua e dei tuoi compagni. Lo sa bene il rallista, l'uomo che sta al centro di un blindato, un Lince per esempio, e si trova con mezzo busto fuori e il dito attaccato alla mitragliatrice: è quello che ba una visione più chiara e completa, quello con più responsabilità, il più stressato, quello più esposto al nemico. Ecco, alla fine della lettura del libro della Schiavulli, si ha la sensazione che tutti i militari, persone andate in missione all'estero, in guerra, siano state messe in dalla dalla vita, esposte a qualcosa che le ha cambiate per sempre.