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“Piccola osteria senza parole”: la sonnacchiosa monotonia della provincia anni ’90

Autore: Simone Baldi
Testata: Carnage News
Data: 21 febbraio 2014

Non sempre il Nordest è il cuore pulsante dell'economia italiana. A Scovazze, infatti, sperduto paesino al confine tra Veneto e Friuli, non c'è proprio niente! Capita dunque che i (soliti) avventori si ritrovino tutti al Bar della Gilda, pettoruta proprietaria, fresca vedova e novella preda per gli istinti sessuali degli autoctoni. Si conoscono da sempre, da prima di aprire bocca, come in un girone dantesco dove tutti sono destinati ad un'esistenza piatta, monotona e ricolma di frustrazioni. Come nella migliore tradizione di borgata, ciascuno ha ricevuto il proprio soprannome, anche le slot machines! A fianco del bancone troviamo dunque la Vecia (la prima acquistata), la Magnaschei (perché prende senza restituire mai nulla), la Sopravvissuta (piegata, ma non distrutta, da un fulmine notturno), la Troia (inutile spiegarne il perché). In quei pochi metri quadri si svolgono le vite di giovani e vecchi abitanti del paese, taciturni e scontrosi, ciascuno in bilico tra aspirazioni (poche) e grane (molte). Per passare il tempo allora si gioca a carte, condite dalle bestemmie sibilate a denti stretti dai fratelli Sorgòn, si guardano le tette (immense) alla Gilda e si tenta la fortuna alle slot. In sottofondo, il vecchio tv perennemente sintonizzato sui mondiali di calcio del '94, per non perdersi neppure un minuto di nessuna partita, che siano squadre semi-sconosciute o patentemente scarse! Eppure in città sta per abbattersi un vento nuovo, già si percepisce, nella calura della pianura, un fremito strano.
Venerdì 17 giugno, come un uragano, Salvatore Maria Tempesta irrompe nel minuscolo bar. Tutti si voltano a guardare quei tratti sconosciuti. Appena il forestiero apre bocca, capiscono all'istante: è un terrone! Ma cosa vuole questo qui? Sebbene sia stato costretto ad una sosta forzata (la sua Ritmo, infatti, si è lentamente inabissata in un fosso mentre lui stava adempiendo alle proprie funzioni corporali dietro una siepe), non è un caso che lui si trovi lì. Dal nulla infatti tira fuori una mezza fotografia, strappata, in cui sono rimasti una donna e un campanile. A cosa gli servirà? Lentamente le sue ricerche prenderanno corpo, facendogli scoprire la geografia circostante e penetrare le storie dei paesani, mantenendo però il suo segreto di fronte a quella piccola comunità. E questa vena di mistero che attraversa la storia, con questa fotografia che porta solo attraverso dei luoghi ma mai ad una soluzione, si duplica quando Tempesta fa scoprire agli avventori del bar un oggetto sconosciuto: il Paroliere. Passeranno velocemente dal dubbio all'assuefazione, anche per via dei boeri messi in palio ad ogni partita. Non gli vorranno più bene, ma almeno impareranno a non disprezzarlo a prescindere. Ma il suo anonimato rimarrà un rebus per loro, aggravato da un'altra, terribile scoperta: il terrone porta sfortuna! Con lui nel bar l'Italia non vince mai: prima perde con l'Irlanda, poi si fa rimontare dal Messico e, infine, va sotto con la Nigeria. E' una maledizione!
Romanzo sulle nostre tradizioni popolari, farcito di (bonari) stereotipi, dal razzismo contadino del nord alla focosità dell'uomo del Sud, “Piccola osteria senza parole” (Massimo Cuomo, E/O, 192 pp, 2014, 17€) fa scaturire la sua vena ironica dalle contrapposizioni culturali e comportamentali. Nessuno viene risparmiato, ogni parola detta trasuda pregiudizi, ma proprio lì sta il bello. Non si vuole affibbiare a questo o quel personaggio un ruolo, una macchietta, bensì farlo diventare l'incarnazione di un ruolo. Ciascuno è come è, difetti compresi. Ma niente è lasciato al caso, ed ogni aspetto ne cela sempre un altro dietro di sé. Tempesta scoprirà che la rozzezza dei razzisti di periferia nasconde, nel silenzio dei loro gesti, una vena poetica inaspettata: in Carnera, il gigante muto che di giorno miete il grano e la notte lavora in fabbrica, senza aprire mai un occhio, che tiene sempre chiuso, e dietro al quale confessa di dormire. Sono attimi di dolcezza, di pura sospensione dalle battute acide di una quotidianità che svela tutto il suo cinismo: il problema della disoccupazione, di un lavoro che non c'è più, della vecchiaia che avanza, con l'oblio della mente e del corpo, la solitudine e l'abbandono. Ma tutto, nella sua realtà, è affrontato con il sorriso. Perchè, se la vita fa schifo, non è che bisogna piangerci su!