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Emancipazione e inadeguatezze

Testata: Donnesconnesse.it
Data: 27 febbraio 2014

Storia di chi fugge e di chi resta. A leggere il titolo dell’ultimo libro di Elena Ferrante sembra non ci sia scampo: da un posto fuggi oppure in quel posto ci resti, con tutto il bagaglio di vite diverse che costruisci a seconda della scelta che fai.

Questo potrebbe essere vero se l’autrice del libro non fosse la Ferrante che, notoriamente, racconta in quella ricca zona di grigio sottratta a ogni intransigenza interpretativa.

Parto della trama del libro o almeno cerco di fare il punto di una trilogia che ho molto amato.

Storia di chi fugge e di chi resta è il terzo volume di una storia che nasce con Amica geniale, passa per la Storia del nuovo cognome e approda su uno stradone di Napoli. Da qui, dall’incontro tra due donne su cui la vecchiaia ha avuto la meglio, riprende la narrazione delle vite incrociate di queste amiche e nemiche: Elena, la narratrice, e Lina, l’amica che ha scelto di sparire e che Elena non vede da 5 anni. 

Elena o Lenù e Lila, sono entrambe nate in un “rione” di Napoli. Cresciute nella realtà machista e camorrista del quartiere, percorrono due strade diverse dal dopoguerra agli anni ’70.

Elena investe tutto nello studio, incarna l’allieva modello, supera il test di ingresso alla Normale di Pisa, pubblica un libro grazie alle conoscenze dell’accademica e di sinistra famiglia del suo schivo fidanzato, che sposa e da cui ha due figlie.

Lina, sebbene intelligentissima, lascia la scuola presto e sposa un noto esponente del quartiere. Lo lascerà per Nino, un amore che dura poco. Passa da una vita di agi e violenze a un’altra fatta di sfruttamento lavorativo, in cui cresce un figlio e convive con un uomo col quale alimenta un amore platonico.

Mentre Elena cerca di affrancarsi dal suo passato, fuggendo da quella Napoli che la soffoca, con la sua mamma claudicante che non perde occasione per rinfacciarle di aver rinnegato le sue radici, Lina vive sulla sua pelle le violenze delle contrapposizioni politiche degli anni ’70, la frustrazione dello sfruttamento lavorativo e della condizione di donna.

Elena cerca di rimanere ancorata al mondo intellettuale che segna la sua rivalsa intellettuale e sociale, Lina lotta nella sua fabbrica.

Forse ho già detto che ho un rapporto conflittuale con Elena Ferrante: adoro il suo modo di scrivere, le scelte stilistiche, la costruzione dei suoi testi. Ma c’è qualcosa che mi spinge sempre a chiudere il libro, lasciarlo sul comodino e a riaprirlo solo dopo un paio di settimane. Ho bisogno di prepararmi al momento in cui l’intima vulnerabilità, i tratti nascostamente violenti vengono fuori.

E così Elena e Lina prima del passaggio sul mio comodino sono due donne di cui stimo la voglia di riscattarsi socialmente, di emanciparsi. Dopo, il loro desiderio di rivalsa si trasforma in necessità di prestigio sociale e simbolico.

Elena e Lina vogliono essere diverse dal mondo da cui vengono, vogliono conquistare attenzione ed emancipazione. Ma devono farsi varco in un mondo maschile che le vuole sottomesse, con tutto il bagaglio di senso di inadeguatezza che una relazione di potere di questo tipo si porta dietro, e nel farlo entrano in competizione. Non si vedono per anni, si scambiano frammenti di voce al telefono, traggono forza l’una dall’altra non nel senso di aiutarsi ma di “saccheggiarsi, rubarsi sentimento e intelligenza, levarsi reciprocamente energia” (Elena Ferrante), perché ciascuna aspira a essere la prima, la più emancipata, quella che meglio ha realizzato le aspirazioni delle bambine del “rione” di Napoli.

E così dopo il passaggio sul mio comodino mi chiedo se emanciparsi non significhi soprattutto affrancarsi dal senso di inadeguatezza.

 

P.S.= per tutte le lettrici della Ferrante, non me ne vogliate per la trama sintetica della trilogia né per l’unico spunto del mio post. Vi capisco, io stessa vorrei leggere fiumi di parole su questo libro.