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Un'intervista con Stefania Nardini

Testata: Liberi di Scrivere
Data: 17 marzo 2014

Benvenuta Stefania, è un piacere ospitarti su Liberi di scrivere e grazie di aver accettato questa intervista. Inizierei col chiederti di parlarci di te, del tuo lavoro di giornalista e poi di scrittrice. Racconta ai nostri lettori qualcosa che ti piace condividere.

Grazie dell’ospitalità! Parlare di me qualche volta mi risulta difficile. Il mio percorso esistenziale e professionale ha subito diverse mutazioni. Ed è visibile nel mio lavoro. Come giornalista iniziai giovanissima, era l’iter di quegli anni, quando il mestiere si doveva imparare, qualche volta rubare, prima di raggiungere i primi risultati. E’ una professione che ho amato molto e che ho avuto la fortuna di praticare negli anni in cui non mancavano i grandi maestri, ma anche gli anni in cui per le donne l’accesso non era affatto scontato. Dalla macchina per scrivere al computer si sono verificati dei cambiamenti all’interno delle aziende editoriali che hanno giocato un duro colpo al giornalismo italiano, un giornalismo al quale va il merito di avere avuto il coraggio di arrivare là dove la verità era scomoda ma formativa.
Poi è cambiato tutto. E sono cambiata anch’io. Tant’è che ho deciso di lasciare l’ultimo giornale dove ho lavorato per andarmene, in cambio di nulla, in Umbria per ricominciare. E lì è successo che recuperando la lettura ho scelto di confrontarmi con la scrittura. Perché il desiderio di raccontare non si è mai spento. Non sempre un buon giornalista può essere un buon scrittore, però il giornalismo che ho vissuto ha aperto sicuramente una porta. E’ la porta sul mondo, sulle storie. Anche se poi il passaggio dallo scrivere un reportage a un romanzo richiede impegno, pazienza e umiltà. Non è la stessa cosa.
Poi Marsiglia, dove vivo dal 2002, a parte vari rientri in Italia, e dove ho posato la valigia travolta dall’innamoramento letterario per Jean Claude Izzo di cui ho poi pubblicato la biografia.

E’ uscito da poco per le edizioni E/O, collana Sabot/age, il tuo ultimo libro, Alcazar ultimo spettacolo. Un noir “vintage” ambientato tra Roma, Napoli e Marsiglia durante la Seconda Guerra Mondiale. Un periodo storico, relativamente recente, che ancora, si può dire, lascia strascichi nel nostro mondo contemporaneo. Come ti sei documentata per ricostruire la vita di allora, piena di dettagli dalla brillantina Linetti, alle canzoni che si sentivano alla radio?

E’ stato un lungo lavoro di ricerca in cui sono stati preziosi gli archivi francesi, i racconti che mi faceva mia madre, la rete e tanti libri ormai non più editi.

Un noir polveroso, granuloso, che lascia trasparire la polvere del tempo: le luci di un passato glorioso, quello del teatro Alcazar e le ombre di un periodo di guerra, segnato da fame, miseria, ristrettezze. Come hai affrontato questa parte della scrittura?

Con naturalezza. Cedendo alle emozioni e cercando di stare dentro quella storia immaginandola nei minimi particolari.

La Marsiglia di allora, che evochi nelle tue pagine, ha un che di luminoso, poetico: il Mistral che la sferza, la luce del cielo e del mare, il calore e la solidarietà della gente. Come è la tua Marsiglia?

La mia Marsiglia,  è il tramonto che dipingeva ieri pomeriggio Vieux Port, è un argot aperto alle parole del mondo, è la passione del bene e del male, è il mediterraneo…

Varian Fry, giornalista americano giunto a Marsiglia per salvare dai campi di concentramento ebrei, artisti, antifascisti, è un personaggio realmente esistito, anche se poco noto. Io almeno non ne avevo mai sentito parlare. Come hai scoperto la sua missione, la sua opera?

Qui a Marsiglia gli hanno anche intitolato una piazza, c’è un’associazione, e poi su Fry in Italia è uscito recentemente il suo diario. Fry è nella storia di Marsiglia, quando la città divenne il porto della speranza per fuggiaschi, clandestini, ebrei braccati dal nazismo. E’ un personaggio straordinario Fry, con la sensibilità del giornalista raffinato e la tenacia del cronista, altrimenti non avrebbe mai potuto salvare 5000 persone dai campi di concentramento.

Il romanzo si ispira alla vita di tua madre, un’artista, unica donna trasformista in Europa, erede di una tradizione artistica tutta al maschile.  Alcazar ultimo spettacolo è un modo di ricordarla, con affetto, con pudore, con grande tenerezza.  Che ricordo hai di lei?

Il romanzo non si ispira alla vita di mia madre ma alla sua particolare arte. Anche se il personaggio del romanzo è lei in tutte le sue sfaccettature. Il ricordo è vivo. Mia madre è volata via qui a Marsiglia la notte di Natale del 2003. Mi aveva accennato, nella sua imprevedibilità, che era stata a Marsiglia nel 39 e all’Alcazar. Mi aveva promesso che mi avrebbe raccontato il suo ricordo con calma davanti a un caffè. Ma non andò così. Allora decisi di farlo io, a mio modo. Attraverso un racconto infarcito di ricordi e pezzi di memoria.

Le venature noir del romanzo sono date dalle pagine dedicate al Milieu marsigliese. Alfred Morello, il Chevalier è un “fuorilegge”, assassino suo malgrado, glielo impongono e lui non può rifiutare, anche se non è un violento, né un uomo crudele. Come hai costruito il suo personaggio?

Ho immaginato un uomo non banale. Dalla parte del male eppure con una grande umanità. Talvolta il male nasce dalla mortificazione dei sentimenti.

La compagnia che porterà all’Alcazar lo spettacolo Pioggia di stelle, fugge dall’Italia e dal fascismo. Le leggi razziali, le persecuzioni verso gli omosessuali, gli zingari, gli antifascisti, fanno parte di un regime oppressivo e violento. L’Ovra agiva a Marsiglia, le spie agivano nell’ombra, i campi sull’isola di San Domino rinchiudevano gli invisi. Uno scrittore americano, Alan Furst, mi ha detto che è curioso che la lotta antifascista di molti esuli italiani in Francia sia stata trattata da ben pochi scrittori, lui lo ha fatto nei suoi romanzi. A cosa pensi ciò sia dovuto?

Su questo argomento c’è molta diaristica e forse poca letteratura rispetto a ciò che invece merita la vicenda degli esuli. Probabilmente per un lungo periodo c’è stata la tendenza a localizzare le storie in Italia per dare loro una forza storica, di rivendicazione. Credo che sugli anni della guerra c’è ancora molto da raccontare, da ripercorrere.

Anche il Milieu, la mafia marsigliese, si dividerà tra antifascisti e collaboratori della Gestapo, mi ricorda ciò che lessi dei mafiosi americani che aiutarono l’esercito per lo sbarco in Sicilia . Durante le tue ricerche ti sei imbattuta in aneddoti, racconti curiosi  che non hai inserito nel tuo romanzo?

Certamente basti pensare a un personaggio come Lucky Luciano, ai fratelli Guerini a Marsiglia considerati dei resistenti e fregiati con la medaglia d’oro per aver collaborato alla liberazione della città.

L’intervista è finita, ringraziandoti della tua disponibilità mi piacerebbe chiederti quali sono i tuoi prossimi progetti letterari.

Per il momento sto vivendo una fase di assestamento. L’ennesima nuova fase. Ma una cosa ho in testa, e spero trovi un editore capace di capirne il valore: una guida di Marsiglia, una vera guida per conoscere l’anima della città. Qui è pieno di Italiani e non c’è un testo del genere a parte qualche depliant. Poi nel cassetto c’è un’altra storia in cui, neanche a dirlo ci sarà Marsiglia. Anche se ora il mio obiettivo primario è che almeno “Alcazar” venga tradotto in Francia. Mi sembra paradossale essere chiamata, io italiana, a raccontare la città negli incontri organizzati dalle biblioteche piuttosto che dai gruppi di lettura, e non poter essere letta.