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Piccola città bastardo posto

Autore: Piero Ferrante
Testata: Macondo - La città dei libri
Data: 13 aprile 2014

Una briscola. Un tiro alla slot. Una partita di calcio sullo schermo. Una bestemmia. Un giro al Paroliere. Una canzone d’amore. Un amore senza canzoni. Una seconda bestemmia. Una cornice, un ritratto, il vetro crepato. Il Bepo nell’angolo che si piscia nei calzoni, il Carnera che veniva solo alla domenica e ora non viene più, Malattia con le ossa montate a caso, i fratelli Sorgón che scrutano come custodi. Terza bestemmia. Un giovane scrittore che annota ogni accadimento. Un automobilista alla ricerca della vicina autostrada. Quarta bestemmia. Quinta bestemmia. Sesta bestemmia. Quel meridionale, che di nome fa Salvatore Maria Tempesta, lui, arrivato in paese di venerdì 17, una foto nel taschino con l’immagine di una donna e un campanile, la sua massiccia dose di iettatura, la sua Ritmo amaranto finita in fondo al fosso e una vita misteriosa che si tiene serrata in cuore. Settima bestemmia.

Nel Punto Gilda, il tempo passa lento. Qui, tra pareti stantie di fumo e umidità l’uomo si affaccenda a far quello che più gli aggrada: nulla. Al Punto Gilda, e in tutta Scovazze, si campa di consuetudini. Scovazze vive distesa su campi di cereali ed erba. La cosa più importante di Scovazze è la Taurizoo, una grossa azienda di tori da riproduzione. Una fabbrica. Chiusa. E che però una cosa la produce, eccome se la produce: un fetore di letame che come una cappa di fumo avvolge il paese. Dal giorno funesto della chiusura della Taurizoo, Scovazze è diventata null’altro che un luogo di passaggio. Un luogo di passaggio dove non passa mai nessuno. Piccola, Scovazze. Piccola, l’osteria della Gilda. Piccolo, il mondo che vi dimora. Come una mano chiusa, ma con delicatezza, l’osteria custodisce parole e gesti sempre identici. Al Punto Gilda si beve. Come in tutte le osterie. Ma nell’alcool non si affogano delusioni, ma si produce serenità. E a Scovazze, serenità e routine camminano di pari passo, sono rotaie dello stesso binario.

Il Punto Gilda è la “Piccola osteria senza parole” raccontata da Massimo Cuomo nell’omonimo libro edito da E/O a inizio 2014. Una storia come un dado, che porta in sé più facce, tutte diverse eppure complementari: l’amore, l’amicizia, il segreto, la morte, l’ironia. E il Nord. Già perché Cuomo è un cartografo e il Veneto il suo cielo. Osservandone le galassie, sa riprodurne fedelmente la successione, l’intreccio, l’abbraccio tra le stelle. I suoi personaggi sono astri sgangherati e impacciati, silenziosi eppure potenti, punti infuocati in un mare a rovescio dove il giorno odora di letame e la notte di spighe recise. Ludopatici incalliti e vecchi incontinenti, bestemmiatori in punta di coltello e vedove pettorute, avvocati senza toga e pensionati nostalgici. Spigolose blasfemie miste a dolcezze plantigrade, bontà sommerse sotto uno strato di apparente rudezza: eccolo l’universo-mondo favorito di Cuomo. Un’umanità contrastata e contrastante, sospesa in un tempo che, talora, raggiunge la solenne bellezza dell’immobilità. A scandirne i tempi, soltanto il deglutire beffardo delle slot machine, lo sputo catarroso della barista, la voce di Bruno Pizzul, i movimenti da toreador di Roberto Baggio, la granitica sicurezza di capitan Baresi. Il tutto condensato in un’osteria di paese, fuoco nevralgico e insieme periferia dell’impero antropologico, dove la vita, prima di entrare, fa lungo giro di ronda.

Cuomo ha nella penna un talento impressionista e quasi fotografico che si unisce al trastullo spensierato di un’ironia semplice. In punta di biro sfida la noia e la sconfigge a punteggio pieno, dando corpo a un libro che è puro sfizio.

Massimo Cuomo, “Piccola osteria senza parole”, E/O 2014
Giudizio: 3.5 / 5 – mormorante