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Savarese: un romanzo per conciliare fede e omosessualità

Autore: Mirella Armiero
Testata: Corriere del Mezzogiorno
Data: 28 aprile 2014

libri di Saviano non li ha letti perché non gli interessano e in questa franca dichiarazione c'è tutto Eduardo Savarese, scrittore e magistrato che prende di petto e con determinazione quello che realmente gli sta a cuore. Senza indulgere a mode e tendenze. Trentacinque anni appena compiuti, Savarese sfoggia nei suoi romanzi una scrittura densa, pensata, limata. Non a caso crede fermamente nella pratica dell'esercizio, atletico, spirituale o letterario che sia. E nella costanza: «Scrivo almeno un'ora al giorno», racconta. Ai primi di maggio sarà in libreria la sua seconda prova, Le inutili vergogne, come la prima (Non passare per il sangue) edita da e/o. Un libro che mostra il passaggio a una dimensione letteraria molto più matura rispetto al primo romanzo. Si tratta della storia di un ginecologo napoletano, affascinante ma non privo di lati oscuri, che si trova a dover conciliare la propria omosessualità con la fede di cattolico praticante.

Ci si può riuscire?

«Non so davvero se la religione possa conciliarsi con l'omosessualità. Ma essendo sia omosessuale sia cattolico ci ho provato. So che può provocare un effetto di straniamento perché sembrano mondi inconciliabili, ma al di là di tutto credo nella forza dell'identità, quale che sia. Ciascuno di noi passa la vita alla scoperta della propria identità, e per me questo discorso va di pari passo con la scoperta di Dio».

Una scoperta recente o radicata nell'infanzia?

«Risale al periodo dell'Università ». Facciamo un passo indietro: sei nato e cresciuto a Vico Equense. Quando sei arrivato a Napoli?

«Mia madre è di Vico,ma di madre greca. Mio padre l'ho perso a quattro anni. Ho frequentato il liceo a Meta di Sorrento. Ma sono scappato appena ho potuto, al secondo anno di università. Quella provincia è doppiamente asfissiante rispetto alle altre. Perché è ricca e poco curiosa». Lavori a Nola come magistrato: un'altra provincia...

«Sì, ma è meglio perché è più brutta e dunque meno centrata su se stessa, meno autoreferenziale».

Sei in contatto con i numerosi scrittori napoletani della tua età? Li leggi?

«Mi è piaciuto il libro di Stefano Piedimonte, sono incuriosito da Piccirillo. Mi piacciono anche altri della generazione precedente, come Montesano. Per il resto leggo molti classici, leggere solo i contemporanei mi opprime, mi sembra di stare lì a intercettare le tendenze, mentre mi interessa la letteratura. Ora sto leggendo Salammbô di Flaubert, straordinario».

Come mai un magistrato dedica tante energie alla scrittura?

«Ho iniziato a scrivere poesie all'università. In realtà volevo iscrivermi a Lettere, ma le pressioni familiari mi hanno spinto verso Giurisprudenza. L'ho fatta di corsa, perché volevo avere tempo per dedicarmi a quello che mi interessava. Ho iniziato con i laboratori di scrittura: al principio la mia capacità maggiore era quella di costruire i personaggi, poi sono venute le trame. Il mio primo romanzo è stato finalista al Premio Calvino nel
2010. Da allora non ho più smesso, più passa il tempo più la scrittura è una parte importante di me».

Stai scrivendo qualcosa di nuovo?

«Sì, questo è un momento felice. Dopo il secondo romanzo mi sento liberato da alcune rigidità sia emotive sia stilistiche».

Il tuo lavoro ti fornisce materiale narrativo?

«Quasi mai, soprattutto ora che sto alla sezione fallimentare. Quando ero al penale c'è stato un episodio che mi è tornato prepotentemente alla memoria nel romanzo. Ero gip quando ci occupammo di un ragazzo che aveva aggredito il padre per esasperazione. A lui mi sono ispirato per il personaggio di Gaetano, giovane innamorato del protagonista, che addirittura uccide il padre omofobo. È stata la mia prima storia giudiziaria e mi colpì perché la vedevo legata dolorosamente alla vita. Ma di solito non è così, vivo due esistenze schizofrenicamente separate».

Nel nostro tempo è possibile che l'omosessualità costituisca ancora un problema?

«Sì, la famiglia e la società non sono così pronte come si penserebbe. Ma è un problema anche sul piano personale, perché ti accorgi di non rientrare in una norma. Un problema che va elaborato, felicemente ma va elaborato. Prima pensavo che le difficoltà andassero scemando con gli anni, col susseguirsi delle generazioni,ma in realtà nemmeno un adolescente di oggi vive questa questione in modo spensierato. Basta vedere quanti casi disperati ci sono sulle cronache».

Eppure tu sei cattolico praticante: non ti senti respinto dalla Chiesa?

«Certo, è un'accoglienza incompleta. Ho incontrato tanti preti e suore disponibili al dialogo, ma il vertice dà indicazioni respingenti. Però c'è un cambiamento in atto. Non pretendo certo che la Chiesa accetti il matrimonio gay, però se è vero che ci sono verità di fede non negoziabili, è anche vero che la moralità sessuale va ridiscussa, e parlo anche del divorzio. Non si possono stabilire regole troppo rigide. Detto ciò, non ho le risposte pronte. Ripeto, il cambiamento sta avvenendo sotto i nostri occhi e non sappiamo fin dove arriverà».

Ma per chi è credente non si tratta di accettare i dogmi religiosi senza cambiarli?

«Certo, non credo nella religione a modo proprio. La liturgia è fondamentale, ma credo che oggi vada riempita di contenuti nuovi, dati dalla libertà che abbiamo maturato negli ultimi cento anni. È un tornare a Dio, ma da adulti».

Hai un compagno: ti sposeresti?

«Sì, perché il matrimonio è un importante riconoscimento sociale. Ma la registrazione nelle coppie di fatto la trovo poco significativa».

Napoli è una città tollerante?

«Penso di sì. Ho fatto numerose presentazioni del mio primo romanzo in contesti professionali, ad esempio tra avvocati, magistrati, eccetera. Ho detto subito che il libro era autobiografico e dunque che io sono omosessuale e questo miomettermi a nudomi ha ripagato perché ho raccolto molta stima. E ho avvertito una grande capacità di ascolto».

A proposito di ascolto, aggiungiamo un'ultima battuta sull'opera lirica: sei un grande appassionato e organizzi anche degli incontri a tema.

«Sì, il ciclo di incontri si chiama ''Eliconapoli'' e l'ultimo si terrà il 16 maggio. Ho iniziato ad appassionarmi all'opera durante l'università, mentre studiavo e con l'opera fantasticavo. Tra l'altro oggi mi aiuta molto nelle trame, nell'osare. Nel nuovo romanzo c'è una scena di travestimento che è molto operistica. Mi dispiace solo che il San Carlo sia ridotto com'è. Vado spesso all'Opera di Roma: oggi ha un cartellone e allestimenti di qualità molto più di Napoli. E solo dieci anni fa era l'inverso. Ma come si fa a mettere in programma, come ha fatto il San Carlo, il Requiem di Mozart per il 24 giugno? La musica segue le stagioni, il Requiem va bene a Pasqua, a giugno arriva l'estate».