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Il mondo non mi deve nulla

Autore: Simona Tassara
Testata: Uno studio in giallo
Data: 27 aprile 2014

In uno dei film più noti e celebrati di Wim Wenders, un aborigeno fugge l’apocalisse nucleare a bordo di un furgone e non smette mai, ma proprio mai, di cantare. Canta la terra, “ossia il testo sacro degli aborigeni, perché loro credono che solo cantando la terra, un pezzo ciascuno, continuamente, la potranno salvare. Ed è un po’ quello che facciamo noi: cantare pezzi della nostra terra, che sono storie, libri, suoni, immagini, pensando che se ci chiudiamo in un teatro e cominciamo a narrare, nessuno ce la porterà via” *. Sono passati alcuni anni dal mio ultimo viaggio sul furgone di Totem. Letture, suoni, lezioni - bellissimo spettacolo teatrale di Alessandro Baricco e Gabriele Vacis che teatro non è “anche se un po’ ci assomiglia” – e tuttavia, come si sa, le esperienze più significative della nostra vita hanno il vizio di tornare in superficie nei momenti meno opportuni.

Quel che è accaduto, volendo stare ai fatti, è che la lettura del nuovo lavoro di Massimo Carlotto (Il mondo non mi deve nulla, Edizioni E/O) mi ha riportato subito alla mente la storia di Cyrano de Bergerac e il magistrale, ipnotico racconto che Alessandro Baricco ne ha fatto in Totem. Un passaggio di quel racconto spiegava infatti come l’irrompere della guerra e della morte serva molto, in letteratura, a far girare la vite, a spingere i personaggi “verso il momento in cui non possono che tirar fuori la verità”. Il dolore e la morte, insomma, spremono le coscienze e – mi si conceda l’espressione un poco abusata - mettono con le spalle al muro.

Nel romanzo di Carlotto (che romanzo non è: si tratta piuttosto di un lungo racconto che si legge d’un fiato) questa funzione che potremmo definire rivelatrice è svolta dalla crisi economica, tema spinoso e di drammatica attualità che il noirista padovano affronta in maniera assai originale, affidando la storia a due bizzarri protagonisti: Adelmo, ladro per disperazione (“A me m’avevano detto: adesso studi all’istituto professionale, poi te ne vai in fabbrica fino alla pensione. Da quel momento te ne stai buono buono al bar a giocare a carte fino a quando non ti parcheggiamo al camposanto. Mica mi avevano detto: guarda che a quarantacinque anni ti buttiamo fuori e lavoro non ne trovi più. E allora quello che ho detto io è stato: In questo mondo di ladri, rubo anch’io”), e Lise, affascinante ex croupier tedesca che ha investito tutti i suoi risparmi nei derivati bancari ed è finita sul lastrico (“… il destino mi ha fatto incontrare la regina delle menzogne, al cui confronto io ero solo una misera principiante (…) Avrei dovuto capirlo subito: non era altro che una sgualdrina di classe, e mi stava ingannando. Ma era gentile, convincente, aveva un sacco di clienti che si fidavano di lei e non mi ha dato tregua fino a quando non sono caduta nel suo tranello“). Un duo apparentemente male assortito che finirà col trovare, per le strade di una Rimini primaverile e indifferente alle vicende umane, una strana, scellerata, nerissima alchimia.

Il racconto non travolge ma sorprende e fa riflettere ripercorrendo il solco tracciato con il monologo Niente, più niente al mondo (Ed. E/O, 2004): stile asciutto, pochi fronzoli e la rappresentazione spietata di un Paese immiserito che genera piccoli e grandi mostri quotidiani.