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La serva del signore

Autore: Antonio Gurrado
Testata: Il Foglio
Data: 9 aprile 2014

Ci è stato insegnato che dai loro frutti li riconosceremo ma non è facile giudicare riguardo agli effetti dell’ondata di razionalismo antiecclesiastico, dissacrante e libertino, che è partita dalla Francia nell’età moderna e lì trova ancora il suo epicentro di laicismo per intellò un po’ snob. Dalla Francia arriva “La serva del Signore”, fresco librino un po’ stitico di Jean-Louis Fournier che può essere generosamente definito romanzo al netto del vecchio trucco di riempire una pagina qua con un capitolo monofrase e una pagina là ripetendo a oltranza la stessa parola. Stile a parte, Fournier racconta la trasformazione di una donna in devota incorrendo giulivo negli equivoci più ritriti della polemica antiecclesiastica: attribuisce ai cattolici i costumi deprimenti dei puritani e la convinzione che il male del mondo sia una punizione divina, rivela che i cattolici digiunano (sempre) e augurano la morte al prossimo, ascrive alla ritrovata fede il fatto che la protagonista viva a carico del padre e perfino, inspiegabilmente, il sospetto che i notai facciano la cresta. In generale Fournier insiste sulla pesantezza della vita dei cattolici quando invece la fede dona la leggerezza degli uccelli del cielo e dei gigli del campo: Fournier usa espedienti rifritti (ad esempio in “Come sedurre la cattolica sul cammino di Compostela” di Étienne Liebig) eppure in Francia è una celebrità. Ha pure vinto il Prix Femina, inventato in alternativa ai criteri troppo maschilisti e codini del Goncourt.
“La serva del Signore” è stato pubblicato dalle edizioni e/o in simultanea con la prima traduzione de “La prova nascosta” di Laurence Cossé – romanzo del ’96 il cui originale è “Le coin du voile”, il lembo del velo che sta per essere sollevato. Una facilmente riconoscibile “Compagnia casuista” riceve una lettera in cui si dimostra l’esistenza di Dio razionalmente e incontrovertibilmente: la fede smette di essere “sustanza di cose sperate” e diventa dato di fatto inoppugnabile. La presenza oggettiva di Dio dà un senso al male del mondo e lo giustifica ma si impone anche come fatto pubblico, impedendo il rifugio ipocrita di considerare la fede un atto privato. La prova dell’esistenza di Dio dimostra anzitutto che la religione è politica. Memorabile la scena del ministro che non intende accettare la prova, per quanto lampante, in nome della laïcité: l’equilibrio laico si regge sul dubbio, sull’indimostrabilità che consente una scappatoia; l’assenza di prove obbliga lo Stato a rispettare i non credenti ma la prova provata lo costringerebbe a rispettare i credenti. Dove si andrebbe a finire? Di fronte all’oggettività di Dio, la Francia e il mondo sarebbero pervasi da uno spirito di gioia permanente a metà strada fra la festa nazionale e lo sciopero generale.
Il colpo di genio del romanzo sta nel presentare questo passaggio dalla speranza al dato di fatto come la “grande tribolazione” di cui parla l’Apocalisse. Qui sta l’ironia razionalista della Cossé. I casuisti, anziché correre a rivelare al mondo ciò che hanno scoperto essere oggettivo, si perdono in mille distinguo. Il loro provinciale vuole nascondere la lettera, il generale tentenna e svicola; la faccenda arriva in Vaticano dove ci si accorge che la prova scredita il Cattolicesimo perché rende diretto il filo fra Dio e i suoi fedeli: roba da protestanti. La Compagnia giunge a sospettare che, per quanto autoevidente, la prova dell’esistenza di Dio possa essere un arzigogolo del diavolo e tutto viene affossato. Antiecclesiastico e dissacrante come da tradizione libertina, il romanzo della Cossé è utile a mostrare che il cattolicesimo va protetto soprattutto dai cattolici più papisti del Papa, quelli convinti che un segreto pontificio sia una notizia che mai, per nessun motivo, dev’essere rivelata al Santo Padre.