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Quelle pantere che mordono il sedere (a buoni e cattivi)

Autore: Piero Ferrante
Testata: Stato quotidiano
Data: 20 maggio 2014

Siore e siori, ci si lasci il moto d’orgoglio d’affermare che lo avevamo detto. Con tutto l’imbarazzo di vestire i panni del polpo Paul, la verità è che c’abbiamo preso in pieno. Due anni fa, parlando di “Una sporca storia” (qui la recensione tratta da Macondo del 23 giugno 2012), prima parte della saga di Biagio Mazzeo e primo lavoro individuale di Piergiorgio Pulixi, chiudemmo la nostra recensione scrivendo così: “Mazzeo tornerà, eccome se tornerà. Nel suo destino c’è buona parte del futuro del noir italiano”. Eccolo, quel futuro. È arrivato. È adesso. Perché Mazzeo, sbirro corrotto, boss della Narcotici, capo di una famiglia in cui non esiste parentela di sangue ma che col sangue e nel sangue suggella la sua unità, è vivo come mai. Infoiato e adrenalinico. “La notte delle pantere”, titolo del secondo libro di Piergiorgio, edito ancora dalla E/O nella collana SabotAge, suggella la fortuna di un personaggio spietato e crudele, violentemente noir. Troppo vero per essere buono. Troppo feroce per essere giusto. Perché giusto non lo è, Mazzeo. Non ha scrupoli nascosti dietro il sipario ghiacciato dei suoi occhi. Usa la legge come un grimaldello, come una spranga da pestaggio, come un manganello da sevizia. Il suo solo onore è la Squadra: Giorgio, Claudia, Luca, Vito, Oscar, Mirko, Carmine. Per loro, per la Squadra, è pronto a tutto. A finire in carcere, ad accettare un patto di collaborazione con lo SCO per evitare una guerra di ‘ndrangheta tra vecchi meridionali tradizionalisti e nuovi settentrionali secessionisti, a corrompere e uccidere, a pestare donne e bambini. Come se non bastasse, in ballo, c’è una partita di coca di quelle da svoltare, roba da milioni di euro. La partita delle partite. Quella sottratta ai calabresi di Natale Pugliese che, pur di riaverla, sarebbe pronto a spargere odore di zolfo per tutta la città. La notte delle pantere è quella della resa di conti. Resta in soffitta l’umanità, scende in strada la brutalità. Chi più sa farne uso, più ha speranze di uscirne vivo.

Spietato e fulminante, ruvido e devastante, emotivo e sconvolgente, doloroso e dirompente. Leggere “La notte delle pantere” è come giocare una partita a dama contro Lucifero in persona: mai a capire quello che può succedere se distogli un attimo lo sguardo dalla scacchiera. Un secondo sei sulla terra, seduto in un tram o sul divano di casa, e un istante dopo a bordo di un ottovolante in discesa, direzione inferno, con Mazzeo alla guida. Occorre sempre stare all’erta con Pulixi. Il suo è un libro che strapazza i sensi. Li prende a pugni, li malmena. Intontisce come una testata sul naso. Un composto di ignoto, vento caldo in faccia, adrenalina, ansia, spavento. Ma anche una riproduzione fedele, sebbene a tinte fosche, di un’Italia sciocca e corrotta, corrosa dentro dalla bramosia di potere, lercia di denaro, e arrugginita nell’anima dalla troppa esposizione alle intemperie del servilismo e della sopportazione. È l’Italia nera delle trattative e delle vittime sacrificali, l’Italia dei colpi di Stato sventati dietro le porte del Quirinale e dei media controllati, l’Italia delle stragi e dei capri espiatori, l’Italia in cui buoni e cattivi sono ipotesi su carta, l’Italia a rovescio, dove a volta giustizia e ingiustizia si equivalgono: stessa per cattiveria.

Dannato Pulixi e dannata la sua scrittura, acre, veloce e stordente come un sorso di una tequila tracannata d’un fiato a tremila metri d’altitudine. Ti leva ore di sonno, con l’asimmetria perfetta di una trama complessa, con l’intrigo di personaggi che si amano o si odiano, con l’uno-due di dialoghi rapidi e violenti come una capoeira, con la composizione di una saga che è destinata a fare scuola di noir. Alziamo i bicchieri, e brindiamo allora: Pulixi è tornato.