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Anteprima: “Le inutili vergogne” di Eduardo Savarese

Testata: Napoli Gay Press
Data: 6 maggio 2014

Sarà disponibile da domani in libreria “Le inutili vergogne” (edizioni e/o) il nuovo romanzo di Eduardo Savarese in cui l’autore scandaglia e declina le diversità dell’amore raccontando vite che apparentemente hanno fallito perché hanno perduto l’amore. Ve ne proponiamo un estratto.

La caccia notturna è stata fallimentare.
Nessuno disposto a riempirlo.
Inutile attesa di un salvatore fino alle tre di mattina. Si sente sconfitto e amareggiato. Appagare la concupiscenza costituisce il modo più autentico ed efficace per sconfiggere il senso vano del peccato.
Al mattino si sveglia stravolto. Oltre ad aver dormito troppo poco, la notte è passata in mezzo a un turbinio sfiancante di sogni, talmente tanti e incastrati l’uno nell’altro da dargli la sensazione che il suo cervello contenesse una specie di cartella zippata pesante bilioni di megabyte. La madre ha imperversato, quella notte. Per anni l’ha vista indossare i suoi gioielli per una prima al San Carlo, una regata al Circolo Canottieri, una cena da qualche principe posillipino. Nel sogno di quella notte sorrideva molto e il rossetto, lucidissimo, mandava bagliori nella stanza.

Resta un po’ qui mentre mi preparo. È triste farlo da sola.
Poi gli si è rivoltata contro. Mi fai schifo con tutto questo sesso che fai. Sei disgustoso.
La stanza è piena di luce. Più invecchia, più detesta il buio.
Sta per andare in bagno, ha quasi attraversato in lunghezza l’immenso specchio che fronteggia il letto. Si ferma. Sarà stato un gioco di luce, un riflesso di qualche movimento catturato dal vetro della finestra e tramutato in un passaggio di ombre sul cristallo. Si gira e fissa la propria immagine. Il cuore si contrae, tenta di muovere un passo, vorrebbe avvicinarsi ma non ci riesce.
«Santo Dio, ma che cos’è?».
Lo specchio se ne sta lì, come sempre. Però… nell’angolo in alto a destra si agita qualcosa… è un’immagine vera e propria, solo che, piccolo particolare, non rispecchia affatto né un oggetto presente nella camera né un movimento proveniente da fuori. Controlla il giardino ma non c’è niente, l’aria è immobile, quasi tiepida, i passeri cinguettano invisibili. Torna con lo sguardo allo specchio. L’immagine misteriosa è lì, ancora più nitida. Un calice d’oro, dell’altezza di una quindicina di centimetri. Ma non resta ferma, anzi, è come se una presenza non visibile stia tenendo tra le mani il calice e lo sposti in più direzioni. Benedetto ha l’impressione che ne fuoriesca qualche goccia rosacea.
«Non è possibile» dice forte, rivolto allo specchio. Tossisce e si avvicina risolutamente, arriva a un palmo dall’immagine, sperando che svanisca. Ma tutto rimane com’è.
«Bevo il mio caffè e riorganizzo le idee» è il primo pensiero di Benedetto. Fa colazione e poi una breve passeggiata in giardino. Saluta cordialmente Jean-André, che se ne sta affacciato in canottiera a guardare il panorama, con una sigaretta in mano. Lo stuprerebbe in quell’istante. Si fa una doccia, si rade, si cosparge di deodorante alla menta. Indossa un completo grigio perla, una camicia su misura a righe sottili bianche e blu e una cravatta di lana leggera, molto giovanile, a puntini minuscoli ocra e bianchi. La borsa da lavoro lo attende di sotto. Prende l’agenda dal comodino e controlla gli impegni della giornata: due visite alla clinica privata e un incontro con alcuni specializzandi del policlinico per un seminario sulle tecniche di fecondazione assistita. Respira. Guarda di nuovo.
Il calice è ancora lì, come un richiamo a un altro tempo, un tempo remoto ma agganciato a qualche evento imminente. Un simbolo così sfacciatamente religioso in una casa dove hanno vissuto una zia quasi mistica e una nonna ultraconservatrice è più di un monito, è un esplicito annuncio di dannazione eterna.
Corre di sopra dalle sue Barbie. Si china ad aprire uno degli ultimi cassetti scorrevoli. Con gesti precisi solleva quattro scatole perfettamente impilate e sfila da sotto la quinta. Apre la confezione, tira fuori la White Ginger, le annusa i capelli e se li passa sulle guance, riporto laterale fermato sulla nuca insieme alla coda di cavallo biondo platino. Passa le dita sulle labbra bianche di lei, uno dei suoi pezzi più rari.
Non merita la dannazione eterna per questo gioco innocente, e poi, lo spreco del suo corpo cosa conterà mai nella composizione sterminata delle galassie? Nel ritmo ordinato della sua vita non c’è abbastanza ossigeno. Quante volte si è detto che deve cambiare, che ci vuole una marcia diversa? Ma dove inventarsela? Che direzione prendere? A cinquant’anni quali piroette potrà mai escogitare per mettere a tacere le solite voci dentro e fuori?
Sfila l’abito alla Barbie, gliene mette uno di ricambio rosa chiaro, col pettinino ricompone i capelli che la sua pelle invecchiata ha contaminato. Si guarda negli specchi collocati agli angoli della sala. Osserva, ritratte come il corpo di un altro, le sue spalle un po’ ricurve. E geme. Un gemito inesprimibile. Perché, senza farsi annunciare, il loro primo incontro è ritornato dal passato.