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«I miei killer tedeschi li penso in italiano»

Autore: Alberto Pezzini
Testata: Libero
Data: 17 luglio 2014

Vita e miracoli di Veit Heinichen, ex dirigente, libraio, editore di fama in Germania che, influenzato da Svevo, ora vive a Trieste scrivendo noir nella lingua di Dante

La Germania ha vinto il mondiale di calcio e Veit Heinichen è in corsa per il Bancarella con il suo ultimo romanzo, Il suo peggior nemico (Ed. E/O, pagg. 329, euro 18,50).

Il protagonista è sempre il commissario Proteo Laurenti, un salernitano trapiantato a Trieste che deve indagare sulla morte improvvisa di un magnate del vino. La sua famiglia è un nido di vipere alla Mauriac e l'Alto Adige, altra terra di confine, fa vibrare le pagine della magia del confine, un tema molto caro a questo scrittore che vive da quando aveva quarantadue anni a Trieste in una casa da cui respira tutto l'infinito di una terra di mezzo (salvo una brutta avventura con un serial writer, un corvo, che lo molestava accusandolo delle peggiori nefandezze). Perché l’Alto Adige? Lei sembra non lasciare mai da parte il tema del confine?

«Vede, i confini sono divertenti. Tutti quelli che ci vivono non possono non essere stati almeno una volta dei contrabbandieri. Chi di loro non si sposta oltre confine per acquistare le sigarette ad un prezzo più conveniente, oppure per fare il pieno di carburante pagando di meno? Sono convinto che la chiusura o la xenofobia restino una maledetta forma di paura dell'altro».

Lei si è trasferito a Trieste - come il suo Proteo Laurenti - da tanti anni. Perché proprio Trieste?

«Trieste è il cuore dell'Europa. Pensi che i suoi cimiteri conservano più di 90 etnie. Non c'è una famiglia che si possa considerare triestina in purezza. Chi dice che la genealogia o l'albero di famiglia debbano essere per forza monotòni?»

Lei parla dell’Alto Adige in questo suo ultimo libro. Non si limita soltanto ad esaminare la società di questa regione ma fa riferimento alla sua economia. Pensa che vi sia cambiato qualcosa sotto questo aspetto?

«Il concetto dell'autonomia speciale ha fatto sì che l'Alto Adige disponesse di grandi riserve di denaro: non posso dimenticare le risate che i suoi abitanti si fecero quando il Governo Monti cercò di drenarvi dei soldi. In realtà il 90% del denaro è sempre rimasto in Alto Adige proprio grazie all'autonomia regionale e non è mai fluito a Roma. Questo ha suscitato anche grandi gelosie nei confronti della regione. Che però ha pagato la sua floridezza: ci sono stati circa 27 morti a causa del fenomeno dei “bombaroli”. Se pensa che in Alto Adige si parla un tedesco dialettizzato, non può non capire come esso covi rivendicazioni mai sopite».

Come mai lei, tedesco di Germania, è finito a vivere in Italia? Ma è vero che ormai pensa quasi soltanto in italiano?

«Nella mia vita ho fatto di tutto. Sono stato dirigente alla Mercedes (ho una laurea in economia). Ho fattto il libraio, e poi l'editore. Ho totalizzato 13 traslochi in Europa a causa del mio lavoro. Quando sono capitato tre giorni a Trieste per la prima volta, il mio italiano era elementare.

Le confesso che mi aveva attirato qui la letteratura, Svevo soprattutto, e Joyce. In quei tre giorni non capii molto. Quando non comprendo, divento testardo. Ho cominciato a soggiornarvi più spesso, fino ad acquistarvi una casa diruta che nessuno voleva perché bisognevole di una ristrutturazione massiccia. Il tutto è coinciso con la mia scelta di diventare scrittore. Ormai penso soltanto in italiano anche perché è diventato la mia lingua quotidiana».

Lei ha scelto di diventare scrittore quando era uno degli editori più importanti in Germania (Verlag). Non ha avuto paura?

«Eccome se l'ho avuta. Ma a me interessa il contenuto, della vita. Mi spiego meglio. Non sopporto le persone che dicono sempre “se avessi fatto”. Sono destinate a scontare una frustrazione perenne. A quarantadue anni avevo appena concluso un contratto quinquennale nell’editoria che mi avrebbe fruttato tanto denaro. Volevo scrivere e pensai che era il momento, e che dopo non avrei più avuto il fegato di farlo. Se non rischi, non vinci. Tenga presente come tutti i miei colleghi non aspettassero altro che un mio flop. L'invidia sfoggia sempre un sorriso verde».

Ha mai contato i libri in casa sua? Possiede qualche edizione parti- colare?

«Non li ho mai contati. Non sono un collezionista, sono uno che trova edizioni particolari per culo, o per fiuto, che ne so. Ho una prima edizione del 1928 de Le Navire d'Argent pescata nel Sud della Francia».

Il suo protagonista Proteo Laurenti è un fedifrago, senza troppi pentimenti o resipiscenze. Come mai questo personaggio “positivo” ha questo difetto?

«Non è un fedifrago. Vive soltanto una fedeltà parallela. Perché è molto umano, tutto qui».

Chi è il peggior nemico di se stesso?

«Noi stessi».

Il titolo originale tedesco del libro in tedesco?

«Nella propria ombra. Ogni volta litighiamo per il titolo in italiano. Il protagonista di questo ultimo libro è un avido, uno che non si accontenta mai, e che finisce alla fine per essere risucchiato dal proprio cono d'ombra. Il suo peggior nemico mi è sembrato un titolo davvero calzante».

Cosa vede dalla sua casa Triestina, anzi dal suo terrazzo?

«L'orizzonte. Vedo la mia terra all' orizzonte, come tutti gli esuli».