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Intervista a Piergiorgio Pulixi (II)

Autore: Simona Tassara
Testata: Rivista fra le righe
Data: 22 luglio 2014

A due anni dalla pubblicazione di “Una brutta storia” (E/O, 2012) torna Biagio Mazzeo, ispettore superiore della Narcotici a capo di una banda di poliziotti corrotti. “La notte delle pantere” (E/O, 2014) agguanta la storia laddove si era – grandiosamente – interrotta e le dà un brusco, vertiginoso giro di vite. Ci racconti com’è nato questo secondo (e non ultimo, come autorizza a pensare l’epilogo) capitolo della saga? Avevi già concepito un’intera serie dedicata a Mazzeo e ai suoi o hai deciso di continuare dopo aver scritto “Una brutta storia”? Ciao Simona, è un piacere ritrovarti e grazie mille… Da quando ho iniziato a pensare al progetto delle pantere, quindi diversi anni fa, ho cercato di fare qualcosa di nuovo e diverso. Volevo creare una saga noir che valicasse un po’ i generi, contaminandola con l’epica, l’action, il dramma e la tragedia, e volevo inoltre creare un tipo di serialità diversa da quella tradizionale dei gialli o dei polizieschi: qualcosa di più seriale, che avesse delle trame autoconclusive per quanto riguarda ogni singolo libro, ma che avesse una storyline complessiva, un arco più lungo che abbracciasse tutti i romanzi; per spiegarmi meglio, è come se Una brutta storia, La notte delle pantere, e i prossimi libri siano un solo romanzo: un lungo dramma poliziesco legato a questa “famiglia” di poliziotti e alla città dove si muovono. Quindi, per tornare alla tua domanda, sapevo benissimo che ci sarebbe stato un seguito e cosa vi sarebbe successo, così come - per dire - so benissimo cosa succederà nel quarto o nel decimo episodio della saga perché ho impiegato anni a elaborare la storyline generale. Ne “La notte delle pantere” Biagio Mazzeo intraprende una missione ad altissimo rischio e gioca la sua partita personale col piede incollato all’acceleratore: i suoi demoni interiori lo spingono al limite e perfino oltre facendo esplodere, ancor più che nel primo romanzo, tutte le sue contraddizioni. Che rapporto hai con questo – mi scuserai se perdo per un momento l’aplomb dell’intervistatrice – straordinario personaggio? Cosa pensi di lui? Dove pensi che possa arrivare? Non è facile dirti cosa penso di lui, nel senso che è un personaggio talmente forte e carismatico, ha questa bruciante ambizione che lo muove e al tempo stesso è un uomo all’antica, legato a un’idea di famiglia molto romantica, insomma è talmente complesso e contraddittorio che non posso darti un giudizio generale su di lui, soprattutto perché è un personaggio in costante evoluzione: la storia, le vicende che vive lo cambiano, cambiano i rapporti che ha con i suoi uomini e le donne della sua vita, quindi è difficile catturarne l’essenza. Penso che sia sicuramente molto enigmatico, affascinante e dotato di un fortissimo istinto di sopravvivenza che lo porta a compiere azioni deplorevoli, però, nella sua testa, giustificate da un bene superiore che è l’amore per la sua famiglia… Al momento posso dirti che è sicuramente stanco, vorrebbe un po’ di pace, ma le circostanze glielo impediscono, soprattutto dopo La notte delle pantere. Anche perché quella notte non è per niente finita: come dice un personaggio nel terzo romanzo della serie “Ogni notte per noi è una cazzo di notte delle pantere”. Questo, a parte il linguaggio colorito, sintetizza qual è il percorso che Biagio e i suoi dovranno affrontare. “La notte delle pantere” affronta temi di grande, drammatica attualità: su tutti, il rapporto malato e quasi simbiotico fra criminalità organizzata e politica. Leggendo il romanzo non si può fare a meno di domandarsi se figure come Biagio Mazzeo e Irene Piscitelli (tostissima dirigente di pubblica sicurezza del Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato, altro personaggio che non si lascia dimenticare) non costituiscano un “male necessario”, nelle società cosiddette moderne… Non lo so… io penso che per cultura e retaggi del passato noi italiani siamo sempre portati a pensare e scegliere “il male minore”. Come individuo, come cittadino, mi verrebbe da dirti che questo è sbagliato, che se una persona entra in politica o decide di indossare una divisa non debba diventare un “male necessario”, non debba scendere a patti, mai, poiché altrimenti perverte il proprio senso morale, la propria “missione”. Ovviamente questo non accade nel mondo reale, dove in realtà il compromesso è l’unica moneta vigente in grado di permetterti di stare in piedi nei mondi sopra citati… Se invece ti devo rispondere come romanziere, allora ti devo confessare che raccontare la zona grigia che è dentro questi personaggi, quel luogo dove istinto, morale, e corruzione entrano in conflitto è davvero molto interessante ed eccitante dal punto di vista narrativo; e penso che sia uno degli aspetti che interessano di più anche ai lettori: vedere i personaggi superare un limite e venire sommersi dalle conseguenze, cercando di tirarsene fuori quando ormai è troppo tardi. Grandi temi ma prima di tutto e avanti ogni cosa una grande storia. Tu stesso hai affermato in diverse occasioni, se ben ricordo, di sentirti un romanziere “commerciale” e “popolare”, “più romanziere che scrittore”: possiamo dire che, secondo il tuo punto di vista, la scrittura è principalmente una forma di intrattenimento? Certo, lo possiamo dire, ma lo possiamo dire per “me”. Voglio dire, ogni autore approccia la scrittura con modi, intenti e filosofie diverse. Io sicuramente non nascondo di essere un autore commerciale: scrivo romanzi di intrattenimento. Cerco di essere un intrattenitore puro. Il mio scopo è far evadere il lettore, farlo emozionare, regalargli un grado di intrattenimento altissimo che deve competere (e superare) quello della tv, dei videogiochi, del cinema, delle partite di calcio e delle serie tv. Non devo dare tregua al lettore: lo devo afferrare per la gola dalla prima riga della prima pagina e trascinarlo fino all’ultima facendogli dimenticare tutti i casini della sua vita, facendogli sperimentare tutta una serie di emozioni che lo elettrizzi, lo ecciti, gli mettano paura e lo facciano arrabbiare allo stesso tempo; e per farlo devo utilizzare tutta l’arte, la tecnica, e il talento che ho, giocando anche sporco, se necessario. Dal punto di vista delle mie ambizioni letterarie di sicuro quando scrivo un romanzo entro in “modalità Mazzeo” nel senso che il fine giustifica qualsiasi mezzo: e il fine nel mio caso è regalare al lettore un’esperienza indimenticabile che lo faccia ritornare nel mio mondo con ancora più fame di emozioni e adrenalina. Se non creo “dipendenza e crisi d’astinenza” fallisco nei miei intenti di romanziere. E non mi piace fallire… Dal maggio scorso sei in libreria anche con un noir a firma del Collettivo Sabot, il gruppo di scrittori (fondato da Massimo Carlotto nel 2007) di cui fai parte. “Padre Nostro” (Rizzoli, 2014), scritto con Stefano Cosmo e Ciro Auriemma, è un romanzo durissimo che traccia la mappa del traffico di cocaina nel Mediterraneo. “Guarda la cocaina, vedrai polvere”, scrive Roberto Saviano in “Zero Zero Zero”; “guarda attraverso la cocaina, vedrai il mondo”… È un romanzo a cui tengo particolarmente perché ci è costato tanto lavoro. Ha una struttura simile a Una brutta storia come impostazione e stile di scrittura: tanti personaggi, capitoli molto brevi, colpi di scena, stacchi cinematografici, epica, noir e tragedia miscelati insieme, stile cinematografico, e grandi emozioni. È ambientato in Spagna, a Madrid, e racconta “l’inverno” di un grande narcotrafficante che vede il suo regno usurpato e deve scegliere se combattere o arrendersi. Anche lui è un personaggio tragico a cui tengo molto. Si chiama Don Pedro de la Ardila o Rafael Velasquez, a seconda di chi glielo chieda. Il Collettivo Sabot è ormai una realtà importante nel panorama letterario italiano. I romanzi con protagonista Biagio Mazzeo – editi, come ricordato, da Edizioni E/O – impreziosiscono la collanaSabot/Age: sabotare cosa? Come? Perché? La collana è stata creata da Colomba Rossi e Massimo Carlotto che è anche il fondatore del Collettivo di scrittura Sabot, e il mio maestro. Nasce con lo scopo di raccontare storie negate, sabotare l’industria della menzogna con storie forti, di alto livello, capaci di rimestare con le mani nel fango della nostra società, tutto questo non richiudendosi nelle staccionate di un solo genere, ma aprendo a una narrativa di contenuti, dove il “contenitore” può cambiare. Vengono affrontati temi diversi, ma con uno stesso comune denominatore: devono essere storie che affondano le radici nella realtà e che siano in qualche modo “ribelli”. Per spiegarmi meglio, è come se il noir mediterraneo di Izzo avesse aperto i confini a tutti i generi, contaminandoli col suo potere sovversivo e il coraggio delle sue tematiche. Lo scorso anno mi sono imbattuta in una splendida videointervista ad Antonio Tabucchi. Lo scrittore pisano cercava di rispondere alla “domanda delle domande, inevitabile per uno scrittore”: perché si scrive? Sono rimasta così colpita e affascinata dalle sue argomentazioni (“si scrive perché si è qui ma vorremmo essere là”, ha buttato lì ad un certo punto, “o perché si è andati là ma tutto sommato era meglio se si restava qui”) che non perdo occasione di girare il quesito agli scrittori che mi capitano a tiro: perché si scrive, Piergiorgio? Puoi fare questa domanda a cento scrittori e probabilmente avrai centotrentaquattro risposte diverse, anche perché ogni singolo autore cambia il suo rapporto con la scrittura nell’arco della sua vita. C’è chi scrive per fame, chi per motivi terapeutici, chi per sfogarsi, chi per evitare una strage in ufficio, chi per conquistare l’amore della sua vita, e chi semplicemente perché lo rilassa farlo e non ha nessuna ambizione di pubblicazione. Io, ripeto, non sono uno scrittore. Gli scrittori sono altri: Cormac McCarthy è uno scrittore, Hemingway, Roth, Pirandello, Javier Marìas, Baricco, Busi, Eduardo Savarese… Io al momento sono soltanto un umile romanziere, un artigiano della parola e della fiction che vuole regalare dei viaggi emotivi, delle ore di puro thrilling ai miei lettori. Non voglio essere ricordato per la mia prosa, la mia eleganza stilistica, o la mia sensibilità poetica: voglio solo emozionare chi legge le mie storie e far sì che continuino a seguirmi, e questo è possibile soltanto se miglioro di libro in libro, portando l’intrattenimento a livelli sempre più alti, ed è quello che con molta umiltà e spirito di abnegazione cerco di fare. Ovviamente curo il linguaggio e la scrittura ma senza innamorarmene: anche il linguaggio è funzionale alla storia e alla velocità che voglio imprimerle. Poi forse un giorno anch’io scriverò un libro letterario, più profondo, ma al momento questo è quello che mi piace fare e che sento di saper fare meglio. “Ogni narratore ha un lettore ideale a cui si rivolge”, mi ha confidato Grazia Verasani in un’intervista di qualche tempo fa, “e anche se scrive per se stesso è con quel lettore che cerca avidamente di comunicare”: sei d’accordo? In quale misura ti poni il problema di come verranno accolti, digeriti, rielaborati i tuoi lavori? Il mio lettore ideale è quello che non ha ancora letto i miei libri, quello che ha gusti diversi dai miei, quello che ha problemi con la letteratura di genere, quello che ancora devo conquistare. È lui. Nel senso che per catturarlo devo fare uno sforzo maggiore che quello di accontentare colui che è già un mio lettore; devo scrivere una storia talmente emozionante e forte che prescinda i generi, arrivando anche a lettori diversi, non deve essere una storia relegata a pochi ma qualcosa di universale, e questo lo ottieni creando personaggi forti e indimenticabili che annullino e abbattano le staccionate tra generi diversi; lo ottieni creando una storia emozionante che arrivi a toccare corde profonde. So che è molto ambizioso e forse può apparire arrogante da parte mia, ma ripeto, scrivo per arrivare a più persone possibili, è il mio lavoro. E senza un obiettivo ambizioso scrivere diventa un’attività noiosa e quasi di routine: cercare di migliorarsi e puntare più in alto, invece, tengono viva la passione e la voglia di scrivere, e questo va a beneficio mio e dei lettori. L’artista americana Cheryl Sorg realizza enormi impronte digitali colorate utilizzando dorsi e segnalibri: come a dire che siamo fatti anche, forse soprattutto, dei libri che abbiamo letto e amato. Ci diresti quali sono i libri che costituiscono la tua impronta digitale, che hanno contribuito più degli altri a formare la tua identità? Risposta potenzialmente interminabile. Vediamo… tutto Dickens, tutto Stephen King, tutto Carlotto, tutto il noir mediterraneo, tutti i classici russi, Shakespeare… ecco, forse se dovessi mostrarti le mie “cicatrici”, Shakespeare è quello che mi ha “ferito” di più. Domanda di rito: che libro tieni sul comodino, in questo momento? In questo momento “Riti di Morte” della Bartlett perché sto scrivendo una storia su un personaggio femminile, una poliziotta, e ho bisogno di immergermi in una sensibilità femminile come scrittura e come personaggio principale. La Bartlett in questo è una maestra assoluta, un punto di riferimento imprescindibile. Curiosity killed the cat, lo so bene… ma provo ugualmente a domandartelo: cosa significa, per un giovane scrittore, vivere a Londra? Vuol dire entrare in corto circuito emozionale e artistico perché è una città talmente piena di stimoli e sensazioni che le storie da raccontare sono talmente tante che mi comprimono il cervello… reggerò qualche mese ancora e poi avrò bisogno di un periodo di decompressione. Dulcis in fundo, la domanda davvero inevitabile per uno scrittore, la più banale e prevedibile del mondo: bolle qualcosa, in pentola? Ti rivedremo presto in libreria? Certo. Al momento come ho detto sono in libreria con Padre nostro edito da Rizzoli, scritto col Collettivo Sabot. A Novembre 2014 esce un romanzo per le Edizioni E/O extra Mazzeo che s’intitola L’appuntamento. Faccio un’incursione fuori dal genere con qualcosa di più… lasciamo un po’ di suspense… Nel 2015 uscirà il terzo romanzo della serie di Mazzeo e il primo di una nuova serie, un romanzo più thriller che noir, sempre per E/O. In questo momento, invece, sto ultimando un noir puro sulla scia di “Arrivederci amore ciao” di Massimo Carlotto che è il mio maestro, ma di questo romanzo non conosco ancora il destino, spero comunque che trovi presto la sua strada perché è una storia tosta. Grazie per il tuo tempo, per la disponibilità, per la potenza delle tue storie… buona scrittura e buon tutto! Grazie mille a te e a presto!